Quando cadon giù le prime foglie
ed il verde del bosco trascolora,
i vecchi tronchi, dalle rame spoglie,
svettano maestosi nell’aurora.
E quelle piante insieme a te cresciute
sfidano venti, piogge e le procelle,
se tu le ascolti, pure essendo mute
raccontano le favole più belle.
Nelle giornate fredde o luminose,
quando da cupo il cielo si fa fosco,
quando le nebbie scendono tediose
un richiamo possente esce dal bosco.
Quella voce allettante, lusinghiera,
l’acre odore di foglie e borraccina,
invitano a cacciar nella brughiera
il re supremo della selvaggina.
Questo richiamo atavico attanaglia
con fascino possente, eccezionale
e ti abbandoni in mezzo alla boscaglia,
nella struggente attesa del cinghiale.
Per ore te ne stai fermo in attesa
vigile con lo sguardo, orecchio teso,
l’inclemenza del tempo non ti pesa
e ti senti un eroe più che incompreso.
Ma quando la canizza si scatena,
quell’attimo fuggente ti ripaga
per la sopportazione di ogni pena
è un fiume di emozioni che dilaga.
Sotto quell’onda d’urto ogni tua fibra
moltiplica per mille ogni tuo senso
e quella smania che da dentro vibra
ti fa sentire grande nell’immenso.
Per i più bravi è merito di vanto,
anche pei fortunati un po’ di gloria,
son attimi febbrili e nell’incanto
tu scrivi la tua pagina di storia.
Questa passione vecchia e sempre nuova
comporta sacrifici ed umiltà
e solamente l’uomo che la prova
conosce a pieno il bene che ci dà.
Eugenio Castellani
Tratta dalla rivista Il Covile - Speciale caccia e cacciatori