Quanto rammarico per essere dovuto scappare da quel podere forzatamente… sapeva tutto, anche il perché, e di quel fatto doloroso era comunque orgoglioso.
In casa sua tenevano un fucile a bacchetta, mai però era stato tirato fuori da quell’armadio; se durante l’anno in famiglia mangiavano della selvaggina, quella era frutto del cappio di crine di cavallo o di qualche “panuzzola” vischiosa che troncava il volo di diversi uccelli catturati così, senza fracasso. Anche se bambino, portava dentro quell’amaro di tutti gli uomini di casa sua; il patto agrario vigente in quella fattoria negava ai propri mezzadri l’esercizio della caccia.
In quella stessa annata ad un confinante della famiglia di Fosco, era stata data licenza dal podere, proprio a causa della caccia: uno dei giovani della famiglia Morganti era stato colto in flagrante mentre sparava ad una lepre, sul confine della riserva e pare che fosse recidivo. Dato che i Morganti a fine annata dovevano lasciare il podere, era risaputo che rasciugavano selvaggina a dispetto del guardia e del fattore.
In casa di Fosco, anche se ardeva in tutti loro la passione della caccia, mai si erano azzardati ad imbracciare quello schioppo polveroso, da tempo riposto nell’armadio; rischiare il posto che sfamava la numerosa famiglia, per una lepre o un coppia di starne al canto, non valeva davvero la pena.
Da un paio di anni, nel territorio di quella riserva veniva tentata l’introduzione del fagiano, quel grosso uccello colorato ambito da tutti. I padroni furono fieri di poter invitare, di lì a poco, amici aristocratici e contraccambiare così le tante cacciarelle sui palchetti nelle immense tenute di Maremma, dimostrando che anche a poca distanza da Firenze si potevano organizzare le battute al fagiano, modello anglosassone, con al fianco il caricatore di fucile e di fronte, nei boschi, i classici battitori reclutati nelle famiglie dei mezzadri.
I contadini, dal canto loro, ritenevano che una cartuccia la si poteva anche rischiare, per un quasi mezzo lucio*.
E proprio lo zio di Fosco, vedendo un bel maschio di fagiano poco distante dall’aia di casa, non seppe resistere alla tentazione: corse in casa, prese dall’armadio il vecchio archibugio, vi versò dalla cima la dose della polvere, buttò all’aria cassetti per trovare il piombo colato che pensava di avere. Voleva far presto, frugava e pensava a cosa di alternativo potesse introdurre in quella canna damascata. Quando passò accanto ad un tavolino tarlato con sopra la forma ed il ferro da ciabattino, pensò subito alle semenze lì, in un barattolo: ne prese un pizzicotto e le ficcò dentro, poi la stoppa pressata dalla bacchetta. Fosco fu spettatore della frenesia di suo zio; lo attese dietro la porta della stalla, lo vide uscire con il fucile ed entrare nel rinserrato di canniccio che racchiudeva l’orto. Gli fu subito dietro e lo raggiunse in quella turata di canne, l’uomo gli fece cenno di stare zitto, ma Fosco sottovoce:
"Ma che fate, avete visto i ladri?"
"Guarda là sotto la vite, lo vedi? è un fagiano".
"Ma zio, se vi sentano ci mandan via da podere".
"Macché, di sicuro daranno la colpa a i’ Morganti".
La fucilata, in quel momento di silenzio, tuonò rimbombando giù verso Bucotto. Sotto a quel chioppo il fagiano colpito dalle semenze si dibatteva. Fosco non attese l’ordine di suo zio, saltò il canniccio e si gettò su quel grosso uccello, gli serrava la gola con le dita, con l’altra mano lo teneva a se per non farlo dibattere. Rientrava guardingo verso l’aia da dietro il muro a secco, allorchè una voce lo raggiunse:
"Vieni ragazzo porta l’animale, son d’accordo con i’ tu’ zio"
Era il Mancini capo guardia della bandita, Fosco e la sua famiglia a fine annata subirono la stessa sorte dei Morganti.. . . .
* Lucio: Tacchino
Luigi Calonaci
Tratto dal libro La Sottana nella Bruscola