Negli ultimi anni cinquanta del ventesimo secolo,forse era il 1958, arrivò in paese un giovane medico. Figlio di cacciatori, non aveva potuto esercitare la caccia come avrebbe voluto per via degli studi. Ora però, vinta la condotta, un giorno la settimana l’avrebbe dedicato alla caccia, in modo particolare alla caccia delle allodole. Certo le allodole non si cacciano a giorni fissi o pianificati, ma lui non poteva di più. Scelse il mercoledì e si trovò un sostituto. Quel primo giorno di caccia partì di buonissima ora, quando il sole ancora nicchiava: bisognava essere sul posto di buon mattino per fare ogni preparativo con calma, per dare inizio alla giornata con quella gioia dell’attesa da cui scaturisce la serenità di tutta la giornata. Ancora non era apparso il primo bagliore dell’alba che già aveva preparato ogni cosa in un campo ampio che si prestava ad erigere un capanno in direzione nord est. Glielo aveva insegnato suo padre:
un buon posto solitario con capanno ben mimetizzato, buoni richiami, aiutati da un buon zufolo, buone cartucce e fucile che tira diritto. Tutto era sistemato.
Quando spuntò l’alba s’avvide che a breve distanza sorgeva un altro capanno con poche frasche ma ben mimetizzanti. Dentro sedeva qualcuno che fumava la pipa; lo capì dalla fiammella altalenante per le frequenti riaccensioni. Provò un senso di amarezza perché sembrava tutto compromesso. Da persona educata qual’era decise di far visita al vicino per vedere chi era e magari, dicendogli di essere il nuovo dottore del paese, indurlo ad andare altrove. Si avvicinò con passo svelto al vicino e prima ancora che si alzasse, gli disse:
“ Scusi ma c’ero io qui prima di lei. Sono il nuovo medico del paese e caccio le allodole solo il mercoledì; non potrebbe andare in un altro campo?
Allora quell’uomo si alzò in piedi e avendo sentito che si trattava del dottore si tolse la pipa dalla bocca. Attese un momento prima di rispondere, quasi come se stesse mettendo in ordine i pensieri, poi guardò il giovane medico e con garbo gli disse: “ Mi dispiace ma io ho settant’anni e sto qui da quando sono nato, dunque sono arrivato prima io. Va bene, lei è il dottore, ma io per ora sto benone. Ma considerata l’età che ho potrei avere bisogno di lei fra qualche anno, forse prima, chi lo sa. Allora le faccio una proposta: perché, solo per oggi, non uniamo i capanni? C’è giusto il tempo per farlo prima che levi il sole e inizi il passo” Il medico fu sorpreso da quella via di mezzo ma per rispetto all’età del vicino decise di accettare e per mettersi reciprocamente a proprio agio rispose:
Mi chiamo Aurelio e sarei onorato se lei mi desse del tu; condividere con lei la giornata di caccia mi fa piacere, quindi accetto la sua offerta”.
fl vecchio, questa volta, si tolse il capello e gli rispose:
Sono Romeo, ma in paese mi chiamano tutti Rom, nome abbreviatomi per via del mio continuo girovagare per i campi. Non ho mai parlato con un dottore e se ci dessimo del tu, sarebbe una semplificazione. Sta bene tutto ma ti taglio il nome a metà: ti chiamerò Elio”. Subito si misero a rifare il capanno e cominciarono a studiarsi. Il vecchio Rom guardò due volte il dottor Elio e si convinse subito che l’imberbe cacciatore aveva bisogno di imparare tante cose. Tolse dalla tasca della vecchia cacciatora una collana di spago con appesi vecchi fischietti in ottone, a forma di tamburino e di diverse misure. Prima di metterli al collo li mostrò uno ad uno al dottore perché distinguesse i diversi fischi che sapeva trarne. Il dottore lo ascoltava molto attentamente: nessuno gli poteva dare miglior lezione.
li vecchio Rom godeva intensamente per l’attenzione che otteneva e azzardò un invito.
Elio, prendi i tuoi fischietti e prova ad imitare il modo di fischiare che ti ho fatto sentire io; solo se le allodole verranno al tuo richiamo sarà la prova dell’efficacia della lezione.” Le prove durarono alcune ore e verso le 11 dello stesso mattino, anche il medico riuscì a far ritornare un gruppetto di allodole cui avevano appena sparato. Il vecchio aveva un fucile calibro 16 a cani esterni, un Beretta attempato quasi come lui. Se lo era comprato grattando sul fondo dei suoi risparmi, ma ne valeva la pena. Era un’arma vecchia, ma un buon fucile, equilibrato, giusto di peso per sopportare le cartucce che Rom faceva da sé.
La pipa che stringeva fra gli ultimi denti era stata di suo padre; ma tirava ancora bene anche se spesso si spegneva perché il vecchio, preso com’era dalle allodole, si dimenticava di tirare boccate regolari. Cos’ì a quell’ora, posto il fucile in modo sicuro, abbassando i cani, accese la pipa e stette ad osservare il dottor Elio. Gli zufoli del dottore erano pure in ottone ma a forma di trombetta mentre due erano a tamburino ma di osso bianco. Rom insisteva perché Elio si specializzasse al richiamo con quelli a tamburino, “sono più convincenti, classici” diceva forse pensando ai suoi, non nascondendo un sorrisetto di piacere nel dare consigli ad un dottore. In quanto al fucile di Elio, semiautomatico Breda tutto inciso, nulla aveva da dire se non per il fatto che “ cinque colpi sono troppi, non danno tregua alle allodole perché qualcuna possa salvarsi per altri “. Il medico sparava bene, aveva il tempo giusto, forse ereditato dai suoi avi: “una vera fortuna “ diceva Rom. Altro aspetto positivo dell’unione del capanno era che il dottore, essendo molto giovane e volendo fare anche un p0’ di movimento, faceva volentieri il raccoglitore dei capi abbattuti. Verso le tredici il passo cessò totalmente ed i due decisero di tornare a casa. Elio, che era ancora scapolo, non sapeva cosa farne delle allodole prese, che erano un bel mazzetto; così decise, con piacere di Rom, che aveva famiglia, di lasciarle tutte al vecchio, primo amico della sua condotta.
Fino a San Martino, ogni martedì sera il vecchio Rom mandò a dire al dottore, che all’indomani l’attendeva al capanno, che vi andasse pure con calma perché il capanno sarebbe già stato pronto e aggiustato per loro due. Ne nacque un’amicizia venatoria sincera e fatta di reciproco rispetto.
Quell’anno ci fu un inverno freddissimo. Il vecchio Rom di legna non ne aveva molta e di coprirsi pure neanche un gran che. Le cesene arrivarono appena dopo San Martino e più faceva freddo e più passavano, anche se poche si fermavano a pasturare, proprio per il terreno gelato, curando poco lo scarno richiamo di Rom che sostava in un gelido capanno fino al primo pomeriggio.
Si buscò una tosse ostinata, che trascurò come aveva sempre fatto, facendo appello alla sua fibra di uomo temprato. Manco gli balenò l’idea di chiamare il suo nuovo amico dottor Elio: “ passerà “, diceva alzando le spalle. Ma così non fu: nella sua dignitosa solitudine una notte morì.
Quando al mattino il dottor Elio fu avvisato, accorse, ma ormai nulla potè. Rivoltosi ai parenti disse loro: “ E’ morto il mio maestro che mi ha dato tanto, cui non ho potuto rendere nulla”.
Raccoltosi per una preghiera notò su una vecchia madia la collanina di spago con gli zufoli appoggiata su di un foglietto. Si avvicinò e vide che vi stava scritto:
Se dovessi morire li lascio al mio unico amico Elio “ . I parenti vollero che prendesse quei fischietti: certo non capirono il valore di quella eredità.
Giuseppe Lauri
Concorrente al 18° Concorso Nazionale per Racconti di Caccia "Giugno del Cacciatore"