Avevo spiegato agli allievi l’ultima regola di grammatica che il bidello era pronto allo squillo per mandare tutti a casa. Il pomeriggio lo avrei potuto dedicare alla caccia. Pensai subito ad un rigagnolo, fra gli ulivi, che conoscevo bene e dove i tordi abbondavano e ne avevo cacciati molti nei mesi freddi dell’inverno. Quel pomeriggio della prima decade di marzo era solatio,brezzato a maestrale. Senz’altro la mattina poteva essere accaduto qualcosa nei cieli della nostra penisola.
Ne percepivo nell’aria la profezia. Mi recai ai tordi, al solito rigagnolo,non tralasciando la possibilità d’incontrare la marzaiola. Oltre alle cartucce del dieci,ne avevo una manciata del sette. Nascosto fra gli ulivi,attendevo il rientro dei tordi. E vennero,gli sparai; alcuni caddero,altri no. Avevo dimenticato la marzaiola. Ed ero in errore perché vidi planare in un terreno allagato,una ventina di piccole anatre. Saranno marzaiole! Ma lo stuolo s’involò e si rimise a ridosso di un canale. Pensai subito di aggredirle, sopravvenendo e tirando di stoccata,come meglio avrei potuto. Non c’era altra soluzione. Sono gli attimi della caccia in cui il cuore batte forte. Allora sei natura nella natura, vita nella vita. Senti di avere con te il dominio che ti deriva dall’arma. Potresti anche fallire,e quindi è necessaria la massima attenzione. Si è tremendamente coinvolti.
Avanzai lento. Volevo sentire, percepire, vedere. Ma non sentivo, né percepivo, né vedevo. Dov’erano? S’erano mimetizzate fra l’erba verde e alta, e al mio primo cenno di movimento lo stuolo volò all’unisono, in cabrata, verso i cieli della salvezza. E tutte furono salve tranne tre,colpite dai miei tiri nervosi ed incalzanti. Mi arricchivo di tre prede: due maschi stupendi ed una femmina. Pensai di non tirare più ai tordi. Ne avevo incarnierati tanti durante i mesi invernali. Valeva la pena appostarsi per tirare a qualche altra marzaiola serotina. Attesi il tramonto. I contadini avevano lasciato il lavoro. Più non si udiva il loro vocio, né i tonfi delle asce. Solo qualche ronzio dispettoso di un grosso calabrone mi infastidiva. Eppure valeva la pena lasciarlo fare. C’era da scommettere ancora sulle marzaiole.
Il sole, al tramonto, ingoiava con sé gli ultimi raggi e già calava la sera, la livida sera campestre. Ed io osservavo, silente, gli angoli del cielo donde poteva giungere il volo felpato del piccolo palmipede. Dovevo attendere fino a quando l’estrema ombra avesse cancellato l’ultimo volo del passero. E fui profeta anche nell’attesa. Due voli silenti giunsero: un maschio e una femmina. E s’incontrarono con le mie ferree canne che le tirò giù entrambe. Dissi basta a me stesso perché le tenebre incombevano e non sarebbe stato corretto profanare la vita nella notte. Tornai in paese a luci già accese. La notte non sognai, ma trepidai per i destini della caccia futura. Ed infatti già si parlava di cancellare marzo dai calendari.
Domenico Gadaleta