Il nonno, dottore, mi prestò un fuciletto cal.24 perché tentassi di tirare giù qualche tordo. Si era al rientro,presso un boschetto di fitti quercioli. Intorno si stendeva una piana erbosa frammista di ulivi e mandorli,e poi l’infinito cielo ove poche nubi rossastre segnavano l’approssimarsi del tramonto. Uccello inquieto e vagabondo il tordo tende a pernottare nel folto,ma la sua ingordigia lo costringe a sostare fra gli ulivi fino a tardi e solo quando avverte lo svanire dell’ultimo raggio, vola verso il bosco. Ero in attesa, pronto, con l’acuta vista della prima giovinezza. Stringevo fra le mani il cal. 24.
Non avevo la pur minima idea di come tirare al volo. Intanto il cielo diveniva paonazzo,foriero di pioggia. I tordi ,sparsi fra gli ulivi, avvertirono la perturbazione e si accinsero a rientrare, alti e imprendibili. Qualche rara schioppettata si percepiva da lontano. Ero solo. Il nonno s’era allontanato con la speranza di tirarne giù qualcuno,attirato dal suo abile chioccolio. Il sole intanto calava nell’abisso della notte,quando sentii prorompere un colpo di cal.12. Attesi con la speranza che qualcosa apparisse nel mio cielo.
E così fu. Sulla mia verticale si presentò un tordo che s’infilava nel bosco. All’improvviso sollevai il fuciletto, mirai senza arte né parte, e lasciai partire il colpo. Il fuoco fermò l’uccello che chiuse le ali e cadde ai miei piedi. Era fatto! Assaporai l’ebbrezza delle iniziazioni. Decisi fortemente con la mente e col cuore che dovevo essere cacciatore. Combattuto da difficoltà morali e materiali mi procurai un Beretta cal.12, monocanna ad un colpo,suffragato dal primo porto d’armi.
Ero pronto ad un’avventura che si sarebbe protratta per lustri e lustri. Ormai quel primo tordo fa parte dello scrigno dei ricordi; incancellabile dalla memoria,si coniuga col mistero stesso dell’esistenza,con la vita e con la morte,la gioia e il dolore . I piaceri della caccia sono momenti i più felici del vivere, fuga idilliaca dalle inquietudini.Intanto era scesa la notte. Cedevo l’arma all’amico nonno, legittimo possessore, e gli presentavo nel palmo della mano il primo tordo,colpito a volo chissà come. Ma il nonno non volle spiegazioni. Sorridendo si complimentava con semplici e lapidarie parole: “E’ il battesimo del fuoco! “Nel mio cuore giovane s’incideva quell’augurio e s’accendeva il sacro fuoco di Diana. Era stato il primo tordo. Tanti ne verranno ancora. Ma…senza retorica,il primo tordo è come il primo amore: non si scorda mai.
Domenico Gadaleta