“..per Santa Teresa le lodole alla tesa”, dice il proverbio.
Ma quella mattina di allodole se ne vedevano davvero poche. Colpa del forte vento di tramontana, che condizionava il passo e, costringeva gli uccelli ( quei pochi che si trovavano in volo) a restare in quota cercando luoghi di riposo e ristoro più facili da raggiungere.
Di tanto in tanto però,qualche stormo composto da sette otto elementi,spossato dalla fame e dalla stanchezza, invitato dal melodioso canto riprodotto magistralmente dal fischietto di Vincenzo, sfidava il vento, lanciandosi in picchiata verso le ampie pianure incolte, dalle quali si poteva vedere il mare.
La vecchia doppietta calibro sedici faceva sentire la sua voce e subito dopo Vincenzo lasciava la sua postazione. Qualche centinaio di metri più avanti,Ciccio, il figlio di Vincenzo, osservava la scena e ne traeva le conclusioni: un’altra allodola era caduta.
Anche lui era sapientemente nascosto nelle gronde, ma la sua attenzione non era rivolta principalmente alle allodole, lui era li più che altro per stare attento al padre, che ormai molto anziano, nella foga dell’azione venatoria poteva incorrere in qualche incidente.
“ ma come si fa a non portarlo a caccia” diceva ai parenti e agli altri figli; “ lui vive per la caccia, non preoccupatevi, ci starò attento”.
“ah..la caccia” diceva nonno Vincenzo ai nipoti, “ ti accorgi che sei vecchio quando non puoi piegarti per passare sotto un filo spinato, o che fai fatica ad andare a prendere l’anatra che ti è caduta sulla sponda opposta del lago, dove c’è il fosso che per scendere ti devi tenere con tutte e due le mani e anche con i piedi”.
“Ma io non mi arrendo” diceva fiero “e sparo quando mi regolo che gli uccelli poi mi cadranno vicino ai piedi”.
Ne aveva storie da raccontare Vincenzo, storie di quaglie, quando si volavano senza il cane, o di anatre quando si posavano nel giardino di casa.
Il lavoro, la famiglia e la caccia: i pilastri della sua vita.
Ma c’era un ombra nei suoi racconti, un’area offuscata che rasentava quasi la vergogna; benché avesse fatto ricchi carnieri, non era mai riuscito a sparare una lepre. E siccome si rendeva conto che la salute e l’età lo stavano portando all’inesorabile rinuncia della sua amata passione,questa “ macchia” lui non riusciva proprio a digerirla.
“Mma la caccia è cosi” diceva “la caccia è bella proprio per questo!”
Il vento non voleva cessare, anzi, stava aumentando la sua forza. Ciccio sollevò un braccio per richiamare l’attenzione del padre, tutto quel freddo non gli faceva bene, e siccome di allodole se ne vedevano sempre di meno, aveva ritenuto che andare a casa fosse la cosa più opportuna.
Vide Vincenzo accovacciarsi, come se volesse nascondersi e tradusse il gesto come l’arrivo di un altro stormo di allodole; cosi era infatti,e quando udì il colpo e subito dopo vide il padre dirigersi verso il piano, capi che il carniere era aumentato. Si voltò per raccogliere lo zaino con le cartucce e in quel momento senti un altro colpo. Si girò in direzione del padre e lo vide correre verso la direzione opposta in cui era caduta l’allodola. Preoccupato per la situazione,raccolse velocemente la sua roba e si diresse a passo svelto verso l’uomo che sembra va intento a cercare qualcos’altro.
“La lepre” urlò. “L’ho presa … l’ho presa …” disse al figlio che ormai era giunto a pochi passi da lui.
Ma della lepre nessuna traccia!
Continuarono a cercare, ma niente. Ciccio che non voleva disilludere il padre lo assecondò nelle ricerche, ma in cuor suo si stava sempre di più convincendo che quella lepre era arrivata chissà dove.
L’età, la vista oramai non più come quella di un tempo potevano aver ingannato l’uomo, che avendo visto il suo obiettivo cosi vicino si era lasciato sopraffare dall’emozione.
Dopo più di un’ora di ricerche, Ciccio a malincuore dovette distogliere il padre da quell’affannosa e inutile operazione.
Vincenzo, rassegnato, convenne con il figlio e i due si diressero verso la macchina.
“Quando mi ricapiterà di nuovo un’altra occasione?” pensò tra se e se Vincenzo, sempre più convinto che quella era la sua ultima stagione di caccia.
Giunti vicino al mezzo, scaricati i fucili, Vincenzo si accomodò in macchina mentre Ciccio si avvicinò ad un grosso tronco di ulivo per togliersi gli stivali e dare una sommaria pulita agli stessi sul grosso arbusto che era cresciuto intorno al piede del vecchio albero.
E fu in quel momento che scorse i piedi della lepre, andata a morire in un luogo che per lei sembrava sicuro; si chinò, la raccolse e la portò al padre.
“Te l’avevo detto che l’avevo presa” disse Vincenzo senza lasciar trasparire alcuna emozione.
A modo suo,Vincenzo aveva sconfitto il tempo. La sua mira e i suoi sensi sebbene non più ottimi come quando era in gioventù avevano avuto ancora la meglio.
Anche il figlio, suo malgrado, dovette convenire con se stesso, che il padre, quando si trovava sul terreno di caccia ringiovaniva, riacquistava le forze di un tempo.
“Ah … la caccia” continuava a raccontare ai nipoti “che cosa non si farebbe per lei, ma non mi fate gridare, perché se mi sente la nonna si arrabbia e diventa gelosa”.
Quell’ombra era sparita dal suo sguardo per lasciare spazio ad un altro sentimento, molto più forte, molto più palese: era sereno.
Il suo volto splendeva di una luce diversa, la luce della consapevolezza.
E la caccia continuava a far brillare i suoi occhi e quelli di chi ascoltava i suoi racconti, racconti dove non era lui il protagonista, contrariamente a quanto si possa e si poteva pensare, ma era la caccia la protagonista, l’amore verso essa e verso la natura, quell’amore incondizionato che spinge gli uomini, rapiti da questa passione, a vivere secondo quelle leggi che da milioni di anni governano il nostro pianeta.
Vincenzo Mazzone