La memoria sfuma i ricordi non più limpidi che si confondono in immagini di realtà ormai perdute. Gli stuoli di migratori raccontavano storie di andata e ritorno nella ripetizione di felici e fischiettanti trasvolate. Ora non più. A mala pena inseguono le rotte, sostando in ansia alla ricerca della patria smarrita. Poi fuggono. Al tempo della caccia è subentrato il tempo della memoria, quando allodole infinite sciamavano alla vista del provvido seminatore, abbagliate dal sole. Fra allegri e felici pigolii. Poi l’ora del silenzio e del riposo, quando appariva sorella lepre, sicura dell’assenza dell’uomo nell’incombere di una quiete arcana. Solo qualche volpe poteva insidiarla.
Dopo l’impressionante fuga l’orecchiona scompariva. Nel primo pomeriggio riappariva l’allodola, per qualche pigolio ancora alla ricerca dell’ultimo seme, per poi sollevarsi nell’alto cielo e picchiare invisibile fra i segreti della terra, nell’attesa della notte, annunciata dall’immenso globo del sole al tramonto. La notte stellata ottobrina a significare l’arrivo del tordo signore, zirlando sottile e sibilando per le vie celesti, fino alla silente quiete delle terre del sud, felici e beate lande di svernamento, dove appena si percepiva il lento soffrire del contadino al lavoro, mano all’aratro tirato dal paziente cavallo e sulla bocca il canto dell’amore perduto.
Nulla lasciava pensare al desolante domani, quando masse sconsolanti di cemento e pietrisco avrebbero ricoperto le vermiglie cavità di antiche radici. E il tordo fugge quel domani che s’è fatto desolante oggi perché ha sentito il veleno sul terreno dove beccuzzava l’oliva e il vermetto. E’ scomparso. Ha deciso di non tornare più. Meno uno,due,tre, e così via; e il numero si assottiglia.
Campi di lussureggianti ulivi dismessi dall’anima trasformatrice del tempo. Insania umana violenta e irriflessa, senza poesia, che solo vede nel cemento la sicurezza dell’oggi e del domani, non più nel rispetto di Madre Natura. Abbiamo computerizzata l’anima e dimenticato il lamento della tortora alla ricerca di un raggio di sole sempre più raro e avaro perché più in alto, al di sopra delle lente e demenziali teorie di auto semoventi per un fine settimana di favola che, lo si augura, non si trasformi in tragedia e lutto. E così anche le livide tortore si sono rarefatte nella memoria di primavere perdute, quando dalle assolate spiagge africane sferravano la potenza e la partenza migratrice verso l’Europa e i cieli si riempivano di stuoli lunghi e alterni dall’alba al tramonto, alla scoperta di verdi lande, ricche di fiumi ed acquitrini, di forre impenetrabili dove tentare la riproduzione della specie tra folti folletti di verdi rami, al ritmo di lamenti appena percepibili. Anch’esse hanno smarrito la memoria biologica di rotte primitive, fra lo scempio di metropoli invadenti e divoratrici dove l’uomo da vivo è meno che un numero, se morto è scomparso nella polvere,introvabile,senza degna sepoltura.
Tortora addio! Il tempo della tua caccia è finito, non c’è più. Ma anche tu hai smesso il lamento perché hai fretta di fuggire, con i tuoi voli a saetta, oggi ancora più imprevedibili.
Quanti e tanti i trampolieri lungo le spiagge. Chiurli, pettegole, totani, pivieri, gambette, aironi, garzette, ecc.ecc. Grande famiglia dispersa dai veleni catramati, dove alligna solitaria la morte. Non più ad immergere i becchi alla ricerca di chioccioline e pesciolini. Dove, se ovunque c’è pericolo d’inquinamento! E il mare cosa trascina con sé, se non ruderi bruciacchiati e buste di plastica e bottiglie senza più messaggi di speranza. Ahimè, anche la vostra caccia è al tramonto.. Fa parte della storia e della memoria. Dov’è mai l’acuto fischio del chiurlo, il paradisiaco lamento del piviere, il chiò – chiò allegro della pantana, il ciarliero vocio della pettegola, il sommesso pio pio del piro piro, e così via. E’ la vita che arretra dove si nasconde la morte. E’ questo il destino dell’uomo cacciatore? Scomparire nelle metropoli! Distruggersi per le pazzesche velocità sulle autostrade, languire dopo le insane nottate nelle discoteche , disperdersi nei meandri delle tenebre per smarrire la libertà di essere.
Ma ci sarà una palingenesi della storia e della natura? Se l’uomo delude è inutile reagire con la rabbia nell’anima. Conviene in silenzio ricomporre gli elementi della propria coscienza e attendere con attiva speranza di cambiare il destino della storia anche e soprattutto per dare giustizia a chi ogni giorno langue e muore di fame.
Domenico Gadaleta