Incancellabile la visione che si presenta nella memoria, a trascorre i giorni a caccia con gli amici,in piena salute e senza responsabilità alcuna. In autunno al tordo e in primavera alla quaglia e alla tortora. Giornate e serate indimenticabili,cene e pranzi improvvisati e gustosi,quando incalzavano i primi freddi dal nord, allo spuntar del giorno, con le avvisaglie del passo. Ci si recava all’appostamento, costruito in pietre a secco, e consono con l’ambiente. Dentro ci si stava comodamente seduti e ben mimetizzati. Riscaldava il cacciatore un braciere acceso, mentre si adoperava il chioccolo aspettando che il tordo si posasse sulla cima più alta dell’albero di mandorlo.
Era l’arte di Flaminio che ad ogni alba ripeteva lo stesso rituale, sino alle nove circa, quando i tordi smettevano di traccheggiare fra gli ulivi. Dopo una breve colazione si riprendeva alla scaccia, lungo le siepi e fra gli ulivi, a scarpinare per chilometri, fino a mezzogiorno, quando sfiniti ed affamati, si smetteva. Ma non era finita perché a sera, sul tramonto, si continuava al rientro in uno spiazzo antistante la casina di caccia, pieno di arbusti e piante selvatiche. Il tordo per il riposo notturno si riparava in quelle siepi dove arrivava in picchiata,costringendo a tirare a volo. Gli stessi fine settimana di caccia si ripetevano in primavera, dal 20 aprile al 20 maggio, per le quaglie e le tortore. Michele e Flaminio passavano intere nottate a fischiar quaglie, e mattinate ad aspettar tortore. Dalla villa si mirava la marina dell’Adriatico e quando, nei fatidici giorni di passo,ci si appostava sin dal primo mattino incontro al levante,ti capitava l’ora in cui le tortore passavano a frotte e i due erano lì, a tirare e provare agli stuoli più alti,ad azzardar tiri e sperimentar cartucce. Nelle giornate eccezionali il passo si protraeva fino a sera.
Quella caccia aveva un suo fascino particolare; ti riconduceva alle inspiegabili ragioni delle migrazioni, durante primavere felici di tempi lontani, a contatto con silenzi rotti solo dalle schioppettate. Ahimè,quei passi regolari non si ripetono più; forse altre vie sono percorse dalle tortore, e questo per colpa della cementificazione selvaggia e nefasta che ha deprivato le nostre terre di beni che solo Madre Natura ci poteva dare. Un anno,prima della seconda guerra mondiale,le tortore ebbero un passo prolungato,oltre la stagione abituale, e volarono a stuoli foltissimi, dando uno spettacolo meraviglioso e mai più rivisto.
Così i due trascorrevano i fine settimana. Oggi e senza rimpianti,ricordano quei tempi,lamentando alle generazioni future la scomparsa di tradizioni venatorie che mai più torneranno.
Domenico Gadaleta