Sono passati oramai tanti anni eppure ripensando alla mia infanzia ed alla mia fanciullezza niente mi è più nitido seppure velato di tristezza de i mille momenti in cui la caccia è rimasta viva nella mia mente ed ancor più nel mio cuore;una caccia fatta di sensazioni straordinarie che ancora oggi a distanza di tanto tempo mi danno la consapevolezza di cosa si perdono tanti giovani d’oggi che presi dalla tecnologia e da mille altre cose non hanno mai assaporato il ‘Profumo della caccia”.
Il maestro di caccia era mio nonno materno che, adoperava una doppietta calibro 28, le cartucce le facevamo in casa e quasi tutte le sere dopo cena era tempo di caccia e mentre lui raccontava le tante avventure venatorie si preparavano le cartucce per i giorni a seguire. Ricordo i bossoli erano i mitici “GIULIO FIOCCHI” in cartone che a furia di sparare e calibrare diventavano sempre più corte, le polveri erano le oramai dimenticate “ACAPNIA,RANDITE,e UNIVERSALE” dai colori sgargianti che con l’arrivo del freddo venivano messe da parte e al loro posto si caricavano la “SIPE,DN e SIDNA”. inutile nascondere che nella mia mente di bambino aspettavo con ansia di diventare grande per poter divenire un vero cacciatore, nonostante ciò non c’era alba ( scuola permettendo) in cui non seguivo mio nonno a caccia, quando faceva freddo per paura che mi lasciasse a casa mi addormentavo nei suo letto. Si partiva prima dell’alba per raggiungere a piedi i posti migliori per aspettare la beccaccia alla posta (allora era consentito); un’emozione straordinaria con un adrenalina che cresceva insieme alla speranza che l’arcera spuntasse da levante e con la sua inimitabile sagoma raggiungesse la nostra postazione, una fucilata ed il tonfo che sembrava non arrivasse mai, la mia corsa nel buio per paura di perderla e la gioia immensa quando finalmente con l’aiuto del cane era nelle mie mani. Fatto giorno si cambiavano le cartucce e le corazzate, le mitiche “LEON BEAUX” di colore blu venivano sostituite con le nostre per poter tirare ai tordi. Passavano le stagioni, cambiava la selvaggina ma non le emozioni. A maggio dal mare arrivavano le quaglie fino a mezzogiorno e noi lì ad aspetta ne le vedevamo giungere da lontano, avvicinarsi, infine posarsi. Era vietato non dalla legge ma dal loro codice d’onore andare subito per farle involare perché erano stanche inoltre non si sparava alle femmine perché secondo loro giù “chiocciole». A settembre, si passava più in collina ricordo con piacere la colazione fatta con pane casereccio e fichi selvatici, le quaglie soprattutto di mattina presto a causa dell’umidità non si involavano ed io con un ramo di mirto cercavo di sostituire il cane.
A febbraio poi in quelle giornate di “scirocchetto” arrivavano i tordi di ripasso,ma. . .anche in estate si andava a caccia non con il fucile ovviamente ma con la falce e l’accetta si tagliava l’erba che serviva per le mucche e si preparavano i cassoni che contenevano le quaglie di richiamo. Ogni gruppo di cacciatori si puliva la propria zona e nessuno invadeva la zona altrui; ogni gruppo di amici aveva la propria “parae1la”l capanno) che con amore curava tutto l’anno potando e piantando nuovi alberi ed arbusti da bacca, ad agosto poi si riprendeva il fucile con l’arrivo di tortore, rigoli e beccafichi. Questi ultimi nelle giornate di festa finivano cotti sotto la cenere avvolti nelle foglie di fico... una leccornia!
Ad ottobre da nord arrivavano i tordi,i merli colombacci e la ruota delle emozioni continuava a girare in un susseguirsi di emozioni … cose semplici per gente semplice. Non avevamo i vestiti firmati , i fucili supermagnum, i fuoristrada, ma quel bambino è diventato un uomo anzi cacciatore», eppure raramente riassapora quelle emozioni, la mia terra devastata dall’abusivismo e dai parchi (boscaglie impenetrabili) e la mia caccia profanata dei “benpensanti” non hanno più la stessa faccia, Io stesso colore, lo stesso profumo.
Quante volte soprattutto la sera, mentre con il bilancino preparo le cartucce per il mio calibro 20, mi fermo e ripenso ai tanti aneddoti sempre legati alla mia fanciullezza,alle tante marachelle, alle tante ‘padelle’ alla prima beccaccia, agli sfottò con gli amici molti dei quali oramai hanno “lasciato perdere”,e viene quasi inconscia la paura “e se succede anche a me la stessa cosa?” Che vita sarà senza la caccia, la mia caccia.. .poi risvegliandomi dal torpore dico a me stesso che questa, non è la mia caccia ma che comunque sono orgoglioso di essere un cacciatore e lotterò sempre affinché Dio mi darà la forza di rimanere tale, e chissà che magari un giorno (forse quando cambierà il vento) potrò riassaporare la mia caccia.
Toni Trapani
concorrente al 18° Concorso Nazionale per Racconti di Caccia "Giugno del Cacciatore".