Camminava lungo la via che dal vecchio ponte, costeggiando il torrente, porta al casale e già le luci familiari del piccolo paese apparivano distanti ma nitide nella direzione in cui due ore prima era tramontato il sole. Si era attardato su nell’altopiano a parlare con quell’unico amico che aveva visto più primavere di lui, ed ora scendeva a valle con in suoi due vecchi segugi al guinzaglio.
Aveva sentito l’acqua scorrere in mille vortici ed il brusio sommesso di questa nel frangersi sui ciottoli più grandi del letto ghiaioso.
Pensava alle trote che non c’erano più.. .Le immaginava ferme tra una corrente e l’altra mentre aspettavano un insetto che, per sfortuna o per picco d’audacia, era caduto in corrente un poco più a monte, all’altezza del prato reso verde dagli acquazzoni di un autunno iniziato.
Pensò che molti insetti sarebbero caduti in acqua in quel tratto. . . Coccinelle, cavallette, grilli...
I grilli...
Li sentiva cantare ai bordi della strada, da quando al mattino, prima dell’alba, era uscito con i due segugi a cui l’incedere delle stagioni aveva incurvato la schiena e tinto di bianco il pelo del viso; era vecchio anche lui ormai, se lo ripeteva ogni giorno quando l’anca e la schiena gli dolevano e la vista al mattino era spesso annebbiata.
Così i grilli strepitavano il loro amore a quella parte di luna che ora appariva densa di luce, ed il vecchio aveva l’impressione di sentire i loro movimenti sull’erba non ancora completamente inumidita dalla prima rugiada della note. Se fosse stato più tardi, quando l’umidità scende più abbondante ed attutisce i rumori immaginari, allora non avrebbe avuto quella sensazione ed i grilli sarebbero scivolati silenziosi sui ciuffi verdi o sugli steli morti dell’erba che fu.
Ora la strada costeggiava la massicciata dove i caprioli scendevano al torrente per brucare i teneri germogli delle piante che crescono vicino alla sponda, ed uno di loro avrebbe potuto abbaiargli se già fosse stato in procinto di risalire o se comunque avesse colto il suo passo. Sciacquò le spoglie della lepre nell’acqua corrente e poco più a monte i due cani fulvi legati con un guinzaglio di corda ingiallito ed inspessito dall’umido, bevvero con soddisfazione l’acqua veloce. Non c’era cosa più onesta di quei gesti e quell’etica avrebbe dovuto conoscere chi, da un salotto buono di città, criticava quel mondo: quel modo di vivere e quelle passioni che uomini e cani sentono dentro quando l’autunno scaccia l’estate e le foglie ingiallite dal sole compiono il loro inverso viaggio dal cielo alla terra.
Il vecchio non aumentò il ritmo, non aveva fretta di arrivare.. .E non aveva freddo, forse perché aveva già immaginato ciò che fra poco avrebbe trovato, e si scaldava nel tepore dei ricordi ed in ciò che aveva vissuto.. .Vissuto e fatto vivere. Ricordava il Babbo ed il Nonno, con i quali aveva cacciato, ed i loro segugi fulvi e nero focati. Ripensò distintamente a Fiamma, una segugia del Nonno, al suo scagno lento quando era sull’usta lunga della lepre, ed a Timido, l’ultimo cane che ebbe il Babbo che alzava la testa e le orecchie quando il covo della lepre era prossimo sotto al suo naso.
E ricordò sua moglie, quando aveva capito che davvero La amava e che in tutto La desiderava come mai aveva desiderato qualcuno.
Sul timone della vita il suo polso era stato fermo. Sapeva leggere i venti ascoltando l’incresparsi sommesso delle foglie che si piegano sotto il peso dell’aria spinta dal Nord quando i tordi tornano a zirlare sui ginepri, i mirti o gli ulivi.
Già vedeva le luci delle finestre più alte del casale rompere il chiarore delicato della luna che lo sovrastava lambendo languida il profilo dei colli che contornavano la valle.
Entrò in casa ed accudì i cani; li accarezzò pizzicandogli dolcemente il sottomento, scodinzolarono sinceri e con la testa gli si strusciarono addosso, potè allora guardarli negli occhi a cui il grigio velo della cataratta aveva ormai stemperato il bel colore marrone. Asciugò il fucile dall’umido della sera e lo ripose nella rastrelliera in fondo alla stanza.
Dopo aver consumato una cena leggera accese la pipa, prese il libro e si sedette sulla poltrona dinnanzi al camino. Gli doleva la schiena.
Lesse un pò, perché anche quella era stata una sua grande passione e con la mente ripercorse i suoi studi più cari: così ripensò ai Mirmidoni ed agli Achei che avevano combattuto sotto alle vaste mura d’Ilio, alle legioni di Cesare che, uniche, al culmine dello splendore dell’impero edificarono il Vallo dell’imperatore Adriano in una terra che nei secoli non fu mai più violata ne’ dalla grandeur dei francesi, né dalle ispaniche navi dell’“Invincibile armata”, ne’ dalle truppe che un folle assassino inviò in un’operazione chiamata “Leone marino”, dove mai nessun manipolo di combattenti germanici piantò la sua bandiera, eccezion fatta per le teutoniche effigi degli Stukas abbattuti in quei cieli plumbei e gravi dagli Spitfire che fecero sì che un pugno di piloti ed eroi dividesse Hithler dalle bianche scogliere di Dover.
Pensieri e ricordi si susseguivano e si intrecciavano copiosamente e così andando a dormire portò il libro dalla poltrona al letto.
Mentre cercava di prendere sonno ricordò l’ampiezza e la magnificenza umana dei suoi nonni che insieme ai suoi genitori lo avevano allevato e curato, lavandolo nell’acqua tiepida di un catino nel piccolo cortile di una vecchia casa; od il cioccolatino che puntualmente riceveva quando alle otto della sera il campanello della porta suonava e lui, bambino, correva ad aprire precipitandosi giù per le scale incontro al nonno che con passo fiero saliva.
Ad un certo punto della notte, quando il sonno lo vinse ebbe come l’impressione di sentire un peso al petto, un groppo insostenibile che svanì in pochi istanti.
Al mattino si alzò ed apri la porta per far uscire i suoi cani. Li guardò correre verso i prati antistanti ma rimase sorpreso, notò che non avevano più il pelo imbiancato dal tempo e la loro schiena che ora appariva diritta li sosteneva in splendida forma, così uscì per meglio vederli e sentì l’aria frizzante delle albe d’autunno accarezzargli il volto. Cercò stupito di richiamare a se i cani ma udì, da prima lontano, un abbaio che ben ricordava, era Timido il cane del Babbo, si voltò e lo vide farglisi incontro festoso. Il vecchio si piegò per accarezzarlo e vedendosi la mano callosa si accorse che non era più vecchio, in quel momento sentì un inconfondibile fischio, alzò gli occhi e vide, rischiarati dalla luce intensa del primo sole, il Babbo ed il Nonno che gli si facevano incontro...
Pierpaolo Giglioni
concorrente al 18° Concorso Nazionale per Racconti di Caccia "Giugno del Cacciatore".