Squillò la sveglia che interruppe il sogno. Nico doveva recarsi a caccia di allodole in quel giorno di novembre. Nelle piane dell’entroterra se ne erano fermate molte. E bisognava approfittarne. Colse l’occasione della sua giornata libera da impegni di lavoro e volò verso la Murgia.
Nella notte era stato succube di un pensiero dominante: la lepre. Di tale selvatico parlava poco agli amici perché ne aveva mancate tante. Non l’avrebbe voluta incontrare mai più. Quel mattino avrebbe cacciato solo allodole e avrebbe tirato a qualche piviere dorato se si fosse presentato a tiro. Giunse sul terreno di caccia che l’alba era imponente e le allodole volavano e planavano indisturbate. Pochissimi erano i cacciatori presenti. Decise di cacciarle alla borrita, molto sportivamente,e di fermarle di stoccata. Poi sentì i pivieri dorati; fischiò,ma non ne percepì la presenza. Proseguì la caccia tirando ad allodole e risentì i pivieri.
Finalmente tre di uno stuoletto si presentarono quasi a tiro. Nico li attirò col fischio d’osso e due di essi planarono,posandosi fra i seminativi,ad una settantina di metri. Bisognava raggirarli per avventare il tiro. Un rialzo di pietre e sterpi gli avrebbe permesso di sopraggiungerli. Nico tentò la sortita. Col fucile stretto fra le mani, segno della tensione che lo coinvolgeva, si riportò sotto un cumulo di pietre e,lento e guardingo, fu pronto al tiro. Aveva dimenticato del tutto la lepre, il pensiero che lo aveva assillato nella notte. Ora sentiva il fischio modulato dei pivieri,l amento paradisiaco fra le solitudini delle colline. Ed avanzò ancora più piano. Ma ecco la sorpresa dirompente, il tiro mancino della sorte,come lo si voglia definire. Da una zolla di terra la lepre schizzò, saltò, scartò, iniziò la sua fuga spasmodica. Nico era a due metri dall’evento. Fu sorpreso, sconvolto, inquietato. Ed ancora una volta mancò il primo colpo. Ma col secondo colpì in pieno il selvatico che si distese per terra,zampettò l’ultimo saluto alla vita e finì fra le mani frementi di Nico che la sollevò in alto,quasi a dare gloria alla creatura. Era fatta.
Finalmente era in possesso del selvatico che per tanto tempo lo aveva perseguitato. Pur non sentendosi un vincitore, aveva pareggiato le sorti. Non pensò più alle allodole. Ne aveva incarnierate una quindicina. Ma la lepre non era nei suoi piani. Ritornava da una giornata di caccia come il guerriero che sa di avere con sé il bottino,ma non sa se il nemico è stato sconfitto o meno. Infine accarezzò la lepre morta che da quel momento l’avrebbe amata per sempre.
Domenico Gadaleta