L’auto correva lungo l’asfalto per portare sulle sponde del fiume Beppe e Simeone “ il fischiatore”. Si arrivò, si decise dove piantare l’appostamento e gli stampi,sperando nella bellissima giornata di marzo. La stuoia fu situata in modo da guardare le sponde del fiume, di fronte al sole,da dove sarebbero arrivati i trampolieri di passo. In quella giornata primaverile c’erano buone speranze perché, nei giorni precedenti, era corsa la notizia che già i primi uccelli erano stati visti.
Beppe era stato invitato da Simeone, vecchio cacciatore, che viveva di caccia e di pesca. Questi, nella sua vita, aveva praticato da sempre la caccia ai trampolieri perché, dov’era la sua casa e la sua famiglia, c’erano pure gli uccelli di ripa durante l’intero anno e i fischi gli erano talmente entrati nel sangue che, uniti ad un’innata disposizione, avevano fatto di lui uno dei più abili fischiatori della zona. Si costruiva i richiami e, a sentirlo fischiare, sembrava che fosse più bravo degli stessi uccelli. Aveva talmente amato la caccia che ne aveva fatto una ragione di vita e spesso si univa ai vari cacciatori che lo interpellavano e offriva, dietro un compenso accettabile, la sua abilità. La sua vita, comunque, era trascorsa miseramente e gli ottant’anni che aveva costituivano un fardello che si trascinava a stento. Beppe, giovane cacciatore, a cui sfortunatamente e precocemente era morto il padre, molto amico di Simeone, aveva desiderato da tempo trascorrere una giornata di caccia ai trampolieri col vecchio fischiatore. Era stata questa, da molto tempo, una promessa di Simeone e il giorno della concreta realizzazione era arrivato.
Prima che incominciassero i selvatici a farsi vedere, il vecchio levò dalla tasca della cacciatora, ormai consunta, alcuni fischietti che mise nelle mani di Beppe dicendogli: - Tieni, è un regalo, cerca anche tu di apprendere qualcosa da me, perché poi il resto lo apprenderai dalla viva voce degli uccelli, come ho fatto io in tanti anni di caccia”. Beppe ringraziò di cuore e gelosamente nascose i richiami, palesando soddisfazione e gioia. Già qualche sparo lontano si sentiva e si videro volare alcune gambette.
“ Attento! arrivano” avvertiva Simeone che fischiava soltanto e, pur con la sua vecchia doppietta a cani esterni sempre vicina, preferiva in simili circostanze lasciar sparare all’ospite. Beppe si alzò velocemente,sparò tre colpi sulle quattro gambette che avevano curato sia agli stampi che al fischio, ma queste volarono via indenni. Gli uccelli furono seguiti e ad un centinaio di metri dall’appostamento uno di essi diede segno di aver accusato il colpo, rallentò il suo volo e cadde capovolgendosi nell’aria: chiaro segno che le cartucce non andavano tanto bene,forse l’umido del primo mattino ostacolava la perfetta accensione della polvere. La gambetta, caduta lontana, fu raccolta da Simeone che, pur ottantenne, aveva una vista abbastanza buona.
Il sole lentamente si alzava e incominciava a luccicare le pozze d’acqua esistenti nella zona e formatesi per le piogge invernali. Ovunque si sentivano fischi e spari. C’erano vari appostamenti in funzione, quella domenica mattina,ma il vecchio aveva scelto un luogo dove gli uccelli praticavano un passaggio quasi d’obbligo, anche se potevano essere stati sparati da altri; la sua abilità di fischiatore li avrebbe costretti ad abbassarsi di quota per avvicinarsi agli stampi. Simeone affermava che i tempi erano cambiati e non c’era più per queste cacce la tranquillità di una volta e il rispetto di distanze accettabili. Molti erano i cacciatori inesperti delle ultime generazioni che recavano solo disturbo col loro vagabondare inutile e dannoso a chi era in posta. Comunque sosteneva, con molta saggezza, che quella era la nuova realtà della caccia e che bisognava accettarla.
“Attento!- disse Beppe- arrivano altre gambette” e si mise fra le mani il fischietto di canna di bambù dando inizio ad un intermittente “chio-chio-chio-chio” che fece volteggiare gli uccelli sino a quando arrivarono ad una decina di metri dalla posta.
“Dai!” accennò silenziosamente a Beppe che subito scaricò il suo automatico. Gli uccelli si dispersero con un volo rabbioso,in varie direzioni; a nulla servì un nuovo tentativo di Simeone che, con tutta la sua abilità nel fischio, non riuscì a convincerli al ritorno. Il disappunto di Beppe fu grande e già sul volto si notavano i segni di una certa delusione.
“ Stamane le cartucce non vanno” gli sussurrò il vecchio. “ E’ così…in queste cacce si è molto condizionati dall’ambiente particolarmente umido. Vedrai che,appena si riscalderà l’aria, tirerai giù i selvatici”.
Il giovane cercò subito di correre ai ripari cambiando tipo e qualità di cartucce, ma il vecchio, con un cenno di capo molto espressivo e segno eloquente di un’esperienza accumulata in una vita, gli fece capire che non valeva la pena. E così fu, perché vennero altri uccelli, tra cui anche qualche pittima e le delusioni non mancarono. Era da vari anni che Beppe aveva ottenuto il porto d’armi e praticava la caccia; una certa esperienza nel tiro non gli sfuggiva per cui quelle padelle,che si susseguivano sonoramente, dovevano pur avere una spiegazione. Simeone lo calmò, lo rasserenò, sicuro che prima o poi i selvatici sarebbero caduti.
Erano ancora le prime ore del mattino,quando furono consumati alcuni panini e sorseggiata qualche bevanda. Ed ecco nell’aria sentirsi il “ chioro- chio- ro – ro” della pettegola; il nonno – così lo chiamava Beppe – incominciò il dialogo ed era uno spettacolo vedere come l’uccello credeva sia al fischio che agli stampi, sino a quando inarcò le ali, deciso nella planata. Beppe si alzò e con una stoccata fulminea piegò la pettegola col plauso e l’approvazione del nonno Simeone che vedeva coronata la sua azione.
Vari uccelli, fino al tramonto, si avvicendarono: vennero le pittime, i gambettoni, le gambette, i pivieri e alcune pettegole; anche Simeone tirò a qualcuno di essi e Beppe si sentiva sempre più soddisfatto del carniere e della giornata che trascorreva insieme a quell’abile fischiatore il quale sedava le velleità di chiunque, nei dintorni, cercava di imitarlo senza risultati.
Il carniere, alla fine, fu ricco e vario: c’era un po’ di tutto: gambettoni, gambette, una pittima reale, due pettegole ed anche qualche piviere dorato. Erano i frutti di una primavera che si annunciava ricca di selvaggina e che portava già con sé le primizie più belle dei migratori di ripasso. Ormai il sole volgeva al tramonto e i trampolieri non giravano più. L’appostamento fu tolto, gli stampi raccolti e tutto rientrò nell’ordine normale delle cose e della vita quotidiana.
“Nella caccia c’è tanta di quella poesia – disse nonno Simeone a Beppe – che se, alla mia morte, mi sarà concessa la possibilità del paradiso, sceglierò un posto come questo”. “ Non preoccuparti! ritorneremo” continuò il nonno. E il volto di Beppe si irradiò di tanta gioia e in quel vecchio vide un amico, vide suo padre.
Domenico Gadaleta