Pompeo decise di cacciare tordi quella mattina. Amici di caccia gli avevano riferito di nutriti stuoli di sasselli che a causa delle abbondanti nevicate avevano abbandonato le zone pedemontane per portarsi verso le colline, fra boschi e ulivi. Da qualche anno in pensione dalle ferrovie dello Stato, in quel giorno feriale non aveva rintracciato nessun amico disponibile. La moglie era lì a dissuaderlo, ma da buon migratorista Pompeo non volle ascoltare ragioni. Lasciò in fretta la casetta di campagna che abitava nelle vacanze natalizie e durante l’estate, e decise di percorrere qualche chilometro a piedi per raggiungere i primi boschi. Un sentiero agevole lo avrebbe condotto fra querce e antichi ulivi incolti. Una volta raggiunto il luogo di caccia, da buon chioccolatore, avrebbe scelto l’albero di buttata e un appostamento d’occasione. Nel mentre saliva, osservava sasselli scomparire fra le querce, senza far ritorno alla pastura.
Vi giunse, si fermò, attese gli eventi, e di sasselli nemmeno l’ombra. Li sentiva però cicalare fra querce e ulivi. Chioccolò per una decina di minuti, alternando il gorgheggio del bottaccio allo striscio del sassello. Nessun volatile si fece vivo. Rivide le precedenti decisioni e si portò nel bosco, sperando di tirare a qualche uccello allo schizzo. Così pensava e sperava. Ma nulla di nulla. I volatili erano inquieti e scomparivano non appena lo intravvedevano. L’antica doppietta gli pesava e gli intrighi del bosco lo stancavano. Sedette su di un masso e aspettò. Fischiò magistrali stridii di sasselli, ma non ebbe risposta alcuna e rimase lì fermo a ricapitolare la propria esistenza. Ma ecco percepire uno sfrascare di foglie e rami per l’arrivo silente di una grande ombra nera. Gli si appannò la vista e l’ombra si fermò ad una decina di metri.
Poi un raggio di sole fugò le ombre e apparve lui, il cinghiale che lo sbirciava con sospetto, pronto a dileguarsi. Pompeo aveva caricato la doppietta col nove, per i tordi.
Ed ora cosa fare? Sparargli? Un pò di cinghiale a Natale sarebbe stato più che opportuno. La bestia mosse appena il grugno, pronto a fuggire. Pompeo realizzò di sparargli al cuore, a suo dire. Partirono due colpi in rapida successione. Il cinghiale parve tramortire, ma si allontanò celermente. L’uomo venante s’inoltrò nella selva illudendosi di recuperarlo. Il cinghiale infatti era stato colpito mortalmente e quella corsa nel bosco era una fuga verso la morte. Finì le sue forze nello spazio di una radura dove il pastore Torquato con pecore e montoni era solito pascolare. La bestia si presentò moribonda come massa nera ad impaurire il gregge che pascolava tranquillo; inclinò sulla destra e cadde privo di forze e di vita. I montoni saltarono e le pecore si scomposero disperdendosi per ogni dove. Torquato lo osservava per terra. Lo conosceva da tempo, e spesso l’aveva intravisto nel folto, dileguarsi. E quante volte l’aveva immaginato scotennato a sopperire ai magri pranzi del lungo inverno. In quella settimana natalizia lo spirito dei boschi avrebbe gratificato il pastore che da anni si aggirava fra quelle macchie. Torquato aveva udito i due colpi lontano, senza farci caso, ma ora capiva.
Doveva aspettare il legittimo proprietario o nasconderlo per poi trascinarlo fino agli stazzi dove trascorreva la notte con agnelli e capri?
Il desiderio di quel possesso divenne così forte che, pur non avendo mai rubato, si fece ladro per l’occasione. Con fatica trascinò la preda in un vicino avvallamento, la coprì con frasche e fogliame e tornò a ricomporre il pascolo, riunendo intorno a sè, pecore, capri e montoni. Ma Tacito vagava impaziente, appoggiandosi riflessivo all’antico bastone, Qualche capro lo guardava strano, come a interrogarlo. Anche un grosso ramarro in letargo si scompose al tonfo dei pesanti scarponi. Attese il tramonto per riportare il gregge negli stazzi e nel contempo percepiva passi che sfrascavano tra foglie e rami. Gli indicavano che qualcuno era in arrivo. Ed era Pompeo che allo scampanellio dei capri al pascolo, gli si avvicinò.
Domenico Gadaleta