Il giorno, variopinto e profumato di resina, era nuvoloso, il viottolo stretto e il bosco lo abbracciava; la neve bassa, soffice e profumata; il vento soffiava energicamente dipingendo gli abeti rossi di candore come un velo di seta; il silenzio m’invadeva, arrossava il volto e le dita s’indurivano, la parola diventava affannata e incominciavo a sudare. Mi sentivo spogliato dei vestiti.
Il sentiero saliva verso destra, poi scendeva e si ristringeva; lasciavo la strada maestra per raggiungere l’altana che, innevata, mi attendeva.
Mentre camminavo avvistavo svolazzare dinnanzi un codirosso, un cuculo, una cincia che cinguettando ti facevano udire la loro orchestra nel silenzio della foresta alpina.
Gli abeti, immobili e bianchi, accarezzavano il manto erboso che dimorava sotto al candore, piegandosi su se stessi per il peso; conferivano profumo di resina all’aria.
La lepre bianca con le punte delle orecchie nere saltellando sfiorava la neve lasciando silenziosamente le sue orme, riparandosi immobile nel suo covo.
Il cane mi seguiva, mi guardava in silenzio; l’acqua azzurra del torrente, solitamente impetuosa era ghiacciata, quasi imbalsamata, frenata, impietrita, quasi sorpresa.
Arrivavo all’altana con i vestiti umidi in ogni loro lembo, salivo, mi sedevo, prendevo in mano il binocolo e intravvedevo tra la ramaglia del sottobosco un cervo maschio che, immobile sotto all’ abete, scuoteva il suo palco facendo scendere la neve, si riparava dal vento e dalle bufere nevose.
Osservavo le bellezze che Dio ci ha donato: il gruppo del Sella con la sua forma a ferro di cavallo, con i suoi abeti e prati innevati alla base e la roccia viva alle estremità dei monti che anch'essa innevata pareva la barba di un uomo che invecchiando diventava sempre più bianca.
Il Sella mi guardava e mi accompagnava silenzioso nel cammino; ad un certo punto intravedevo un capriolo che velocemente usciva dal bosco come se stesse scappando da un attacco, veniva a scaldarsi al sole che timidamente cercava di forare le nubi; nella radura dinnanzi, stavo lì seduto, con il cane sdraiato ai miei piedi, in silenzio.
Poi, preso dalla stanchezza, mi alzavo, scendevo dall’ altana, ritornavo indietro e andavo verso il passo Gardena.
Arrivato in prossimità della cascata del Pisciadù ammiravo estasiato tale bellezza: un'acqua cristallina che solidificandosi dipingeva il ghiaccio di azzurro.
Camminando nella neve soffice udivo il rumore delle auto in lontananza, il suono della campana della Chiesa e ammiravo il Creato.
L’imponenza di sua maestà il cervo che con un balzo saltava la viottola sulla quale mi trovavo, per poi risalire verso il monte, mi faceva sobbalzare e battere il cuore. Continuavo la mia passeggiata in mezzo alla neve che, come una camera insonorizzata, attutiva i rumori.
Arrivavo ad una baita: il camino annerito fumava lentamente; all'esterno, un camoscio appeso per le corna, con una bella criniera; i cacciatori, ora all'interno, lo avevano appena abbattuto, era un bel maschio vecchio.
Entrai nella baita, sul tavolaccio un bel cappello di loden verde, adornato con una bella coda a forma di lira di un gallo forcello, nero con riflessi verdi blu; scambiai due parole e ripartii.
A poche centinaia di metri dal passo incontrai un altro cacciatore, baffuto, con un viso che sembrava un triangolo, e con la sua mantella di loden verde, dove sotto elegantemente teneva una bella carabina che portava alla partigiana, con la canna rivolta in avanti. Sul cappello aveva un ciuffo pettinato e ben folto di peli di camoscio, gli scarponi in cuoio con le stringhe rosse, i calzettoni di lana bianchi ricamati e i pantaloni in velluto verde che si restringevano al ginocchio con un cinturino.
Arrivati verso il passo, deviai verso sinistra e iniziai a percorrere la Val Setus per raggiungere il rifugio Pisciadù: Proseguii ed arrivai al rifugio Boé che con le sue finestre grigio a righe azzurre mi attendeva nell’ alta valle, silenziosa.
La neve aveva cessato di scendere da tempo e cominciava a luccicare, il cielo si era rasserenato, il sole era riuscito a forare le nuvole facendo la sua comparsa.
Arrivati in cima ammirai la bellezza di due camosci adulti che si rincorrevano, neri, con manto invernale, con due belle criniere.
Il tramonto stava arrivando, il sole si abbassava, la neve incominciava a colorarsi di rosa, l’insieme delle punte delle montagne sembravano una lama di una sega da legno, il silenzio ti accoglieva e il buio mi stava raggiungendo dall’orizzonte.
La cena succulenta a base di polenta e cervo mi attendeva nel rifugio in quota, la legna ardeva nel camino al suo interno e scaldava gli ambienti.
Mi coricai a letto con il cane accucciato ai miei piedi.
Il giorno seguente mi svegliai all’ alba, il cielo era sereno e il rossore del sole cedeva il suo spazio all’ azzurro.
I nevai delle montagne, man mano che il sole saliva, si notavano sempre più.
Proseguii per le alte vie con lo zaino in spalla per raggiungere il passo Pordoi.
Mentre camminavo intravidi un' arena di canto dove due galli forcelli neri come il petrolio, in lontananza piccoli come due puntini, combattevano per contendersi la femmina.
Continuai a camminare e intravvidi lontano un cacciatore con la carabina appostato, immobile, in silenzio con il suo segugio Hannoveriano fermo sullo zaino. Arrivato al passo Pordoi, il paesaggio lunare era incantevole, da una parte la val di Fassa e alle mie spalle la val Badia e la Marmolada che candida mi guardava come Gesù Cristo vigila sulla nostra testa tutti i Santi giorni; il cane mi guardava silenzioso e mi seguiva.
Il tratto era ripido, scivoloso e malmesso, il sole scaldava, il cielo era turchino, la neve si stava sciogliendo sul cammino, lungo e solitario.
Arrivati in paese, il cane sembrava impazzito, mi faceva le feste, mi saltava addosso, mi leccava in segno di ringraziamento per quello che erano state queste due giornate trascorse insieme!
Simone Marzola