L’uomo si fermò qualche istante a guardare lontane sul crinale le cime dei lanci mosse dal vento. Sollevò il bavero della giacca, si calcò bene in testa il cappello e poi riprese il passo.
Sali dritto, attraverso il pascolo pulito. Sentiva l’aria fredda sferzargli il volto e nitido nell’aria l’odore di neve in arrivo. Sorrise. Sarebbe stata la prima neve della stagione.
Come raggiunse il crinale, si buttò rapido nell’altro versante. Il cielo aveva il medesimo colore e l’aria sapeva sempre di neve, ma il mondo da quella parte era fermo e silenzioso. Come in attesa.
Cominciò con qualche fiocco rado, poi si mise a fare sul serio. L’uomo adesso scendeva dove lanci, mughi e ginepri avevano conservato il loro dominio. Scendeva con passi consueti, gli stessi che aveva sempre avuto su quelle montagne. Ogni volta era come ritornare a casa.
L’uomo piegò dilato, perché poco più sotto cominciavano i salti di roccia e lui lo sapeva. Puntò dritto verso quell’avvallamento che intravedeva appena tra i fiocchi di neve che il cielo buttava giù senz’alcuna parsimonia. Il terreno era già tutto imbiancato.
L’uomo arrivò in quel posto che conosceva bene, dove il terreno si piegava a v-u verso la vallata sottostante. Lì le cime dei lanci ricominciarono a muoversi, nel vento incanalato dalla vu. Alcuni aghi dorati turbinavano nell’aria, senza peso apparente.
L’uomo si tolse da tracolla la doppietta e poi si diresse verso il suo solito lance. Con quel brutto tempo non doveva preoccuparsi dei guardiacaccia.
Il suo lance era robusto seppure storto da mille intemperie. Era tale e quale alla prima volta in cui l’aveva visto: lui bambino, suo padre col fucile ad aspettare camosci. Già. Il sentiero dei camosci era sempre quello e in quel punto da sempre s’incrociava con quello degli umani.
L’uomo si accomodò alla meglio, seduto nella elle curva e antica che formava la base del lance, con le spalle appoggiate alla parte dritta del tronco. Trasse di tasca due cartucce doppio zero. Prima guardò come d’abitudine attraverso le canne, poi caricò. Lo scatto metallico della chiusura s’udì appena nel vento che menava neve, idem i due clic successivi dei cani esterni, eppure l’uomo si guardò attorno e rimase in ascolto. Ma fuori dal lance che gli faceva da ombrello, decisa ma tranquilla soffiava soltanto la bufera.
Sorrise, l’uomo, prima di posare la doppietta sulle cosce. Si mise ad osservarla: al di sopra dell’asta, dove le canne sovente trovavano il contatto con le mani, la brunitura aveva lasciato posto a un color grigio opaco. Il calcio invece s’era sbiancato oramai per intero. D’altronde d’acqua ne aveva presa davvero molta. Per non dire della neve. Già. Quel fucile ne aveva passate davvero tante.
L’uomo adesso si ritrovò a pensare ai galli forcelli e alle beccacce, alle lepri e alle volpi, ai camosci e ai caprioli. Per un attimo fu come se tutti i suoi giorni di caccia si potessero tenere nell’abbraccio della memoria. Ma subito tornò al presente: non gli dispiaceva ripensare al passato, ma ce ne sarebbe stato il tempo nonché la necessità quando sarebbe stato vecchio, O almeno più vecchio di quanto era ora. Nella sua testa la vera vecchiaia coincideva con l’impossibilità di andare a caccia, e allora sì che ci sarebbe stato bisogno dei ricordi. Ma non ora. No. Adesso c’era ancora questa prima neve dell’anno da guardare. Questo camoscio da aspettare. Queste mani da scaldare. Se le sfregò piano, poi si decise a metterle in tasca. Mah, rifletté, che cosa te l’ha fatto fare di salire fm quassù in una giornata del genere? La stessa che ti ha fatto alzare all’alba migliaia di volte, si rispose subito, sempre quella. Non avrebbe saputo darle un nome, sapeva soltanto che doveva obbedirle.
Più tardi cessò il vento. Di colpo. La neve cominciò a cadere dritta. Oramai per terra ce n’era almeno una spanna. L’uomo stava bene li, sotto a quel lance: se ne andò il freddo che aveva cominciato a sentire in tutto il corpo, per lasciar posto a qualcosa che assomigliava a un tepore. Chiuse gli occhi e sorrise. Si ricordò com’era stare li in estate, sotto al sole caldo. Quando li riaprì rivide l’inverno, iniziato quello stesso giorno. E dietro all’inverno qualcosa di scuro che si muoveva verso di lui. Continuò a guardare in quella direzione, mentre le mani con gesti automatici andavano a prendere la doppietta in grembo.
Ignaro del pericolo, il camoscio gli veniva dritto incontro. Adesso lo vedeva bene. Era una bella bestia. Il pelo gonfio per il freddo e anche per il periodo degli amori lo faceva sembrare ancor più grosso. Era solo. Un vecchio becco che girovagava in cerca di morose, incurante della bufera. L’aveva già a tiro. Continuava a venirgli dritto incontro. Ne osservò il bel trofeo. L’aveva adesso molto vicino e le due canne della doppietta convergevano nel punto in cui il collo del camoscio diventava petto e, sotto, cuore. Il camoscio si fermò a fiutare l’aria. Voltò la testa all’indietro e poi tornò a guardare in avanti. Ma nulla lo insospettì e riprese il cammino. Gli passò dilato. L’uomo continuò a tenerlo in mira fin quando, indistinto così come era comparso, il camoscio spari tra le neve che fitta cadeva. Essere bracconiere o cacciatore? Quel giorno l’uomo scelse d’essere cacciatore.
Claudio Zanini
Concorrente al 18° Concorso Nazionale per Racconti di Caccia "Giugno del Cacciatore"