Con l’amico Stefano guardavamo dal margine della strada sterrata che si snoda salendo verso la sommità del monte, un laghetto sottostante in cui nuotavano due germani: un maschio di cui risaltavano i colori armoniosi e vividi, una femmina che si confondeva con il suo colore grigio marrone con l’acqua che intorpidiva il bordo.
“Ma è un lupo” esclamò a un tratto Stefano; “è accovacciato accanto al laghetto e stà puntando i germani!Guarda guarda anche te” porgendomi il binocolo. Il lupo si sentì osservato alzò la testa verso di noi e lasciò l’agguato, ancora guardandoci. Era bellissimo, diverso da un altro che avevo avuto modo di vedere in diversa occasione, grigio e spelacchiato. Grande, rosso, una grossa testa con gli orecchi ritti una grossa coda gonfia quasi nera: un attimo e si diresse con calma ma con un’andatura sciolta e selvaggia verso un boschetto vicino dove sparì. Ricordo che aveva il muso sporco del sangue di qualche vittima incauta e innocente, il suo cibo.
Non lo vedremo più in quella località, il lupo se si accorge di essere stato scoperto nel suo mistero se ne va senza tornare.
Quel giorno di primavera eravamo lì perchè chiusa la caccia resta la nostalgia per qualcosa perduto, il pensiero sempre rinnovato di tornare sui luoghi di caccia in attesa della prossima stagione venatoria per cui una visita ogni tanto serve alla memoria per i molteplici episodi di caccia trascorsi: “Là è passato quel cinghiale che ho ferito mentre il colpo si spiaccicava in terra. Laggiù Mario ha ucciso quella bella femmina, in alto al margine del burrone ti mettevi sempre te.”
Da un leccio scuro e fitto scatta vicino con il battito di ali rumoroso un colombaccio, forse fuggito dal nido; giù verso l’acqua si sente l’ usignolo cantare forte e melodioso. Sono appena arrivate le tortore africane e se ne vede qualcuna becchettare in mezzo alla strada di campagna, altre si alzano e traversano con il loro volo azzurro e bianco. Ancora dalla strada che percorriamo fugge colorata e beccheggiante con i loro colori vivi e trinati una coppia di upupe in cerca del luogo dove nidificare.
Da chissà dove, si sente venire il verso del cuculo, chiaro e singolare come uno scherzo d’uomo “Cùcù, cùcù”. Con la macchina intorno al bosco vediamo qualche capriolo dal pelo estivo rosso chiaro e il grosso cuore bianco sulla coda, un picchio verde si stacca da un albero emettendo il suo trillo luminoso. Il verde così intenso degli alberi in primavera viene striato dal nero dei merli che sfrecciano intenti a cercare il cibo per i piccoli nascosti al sicuro in un nido che si vedrà mirabilmente costruito solo al cadere delle foglie. Il grido di un fagiano maschio in amore rompe un silenzio impercettibile. Non si vedono cinghiali ma l’immaginiamo nascosti nel bosco pronti ad uscirne alla prima calata del sole non più spaventati dalla caccia e dall’urlo dei cani. Tutto questo è intorno e dentro di noi ma il lupo no. Un ospite inaspettato, un’occasione strana, nè piccola nè grande ma misteriosa.
Un lupo ci fa tornare indietro nel tempo, ci fa tornare bambini: “attento stai buono” una voce amata diceva “altrimenti chiamo un lupo”. Un lupo era la paura di un castigo: ma adesso chi ci può castigare?
Quella voce che allora minacciava non c’è più, ma se pur intendeva infondere paura, era una voce di amore che vorrei sentire ancora: la paura a volte me l’ha fatta la vita, con impreviste sorprese di dolori e dispiaceri, il lupo no. Non l’avevo mai incontrato così imponente in carne ed ossa e certo non ne ho timore, anzi mi piace che ci sia. La paura era ed è sempre misteriosa non si vede mai, è in agguato in ogni momento, come lo era quel lupo alla coppia di germani che forse a scoprirlo abbiamo salvato.
A noi resta nel cuore un pizzico di disagio che non si può svelare.
Alfredo Lucifero