La giornata di caccia al cinghiale si presentava bene, un tempo magnifico, con il sole quasi caldo nel cielo azzurro che ricordava l’inizio settembrino della stagione venatoria di quest’anno.
La solita riunione della piccola squadra di cinghialai che si era autonomamente chiamata “la disperata” un pò per scherzo e un pò sul serio in ricordo di qualche ricerca andata a vuoto e di qualche padella che dati i rapporti stretti tra i componenti se pur commessa singolarmente diveniva collettiva creando appunto una generale disperazione.
C’eravamo tutti dinanzi al grande bar che luccicava al sole di un mese di gennaio fatato, con le auto della compagnia, qualche fuoristrada con regolare cassetta per i cani, qualche Fiat Panda, un Fiorino rosso che spiccava per il suo colore vivo e via in carovana verso il luogo di ricerca sperduto tra colline montuose e ovviamente boscose ma da noi ben conosciute.
Arrivati, i canai si disperdono e si ritrovano sull’abbaio dei cani, con le altre poste cerchiamo di affiancarli. Quasi subito in un grosso macchione isolato denso di rovi, uno dei cani fa un breve abbaio a fermo, uno dei canai, grosso, leggermente ondulante nella sua camminata, decisa e resistente, ci avverte: “Attenti c’è il cinghiale”. Circondiamo il macchione, io mi metto dalla parte di uno scamporato limitante, sopra di me altre due poste mobili. Due tre cani entrano in aiuto dell’abbaiatore, ne esce una musica infernale, insistente interminabile; attendiamo con il cuore in tumulto da quale parte uscirà il cinghiale? Ognuno spera dalla propria, ma il cinghiale è un animale molto autonomo intelligente e imprevedibile, va dove gli pare, e infatti esce sopra di me, non riesco nemmeno a vederlo. L’amico vicino lo vedo raccogliersi sul fucile e sparare uno, due colpi, un altro ancora più sopra due colpi ma qualcosa sembra non aver funzionato, nessuno dei due lo ha colpito, i due vociano non so che, corro alla mia macchina per salirvi e cercare di tagliare la strada al cinghiale sopravanzadolo, arrivo metto in moto e parto schizzando terra a tutta forza dirigendomi dove sento l’abbaio dei cani che scorre velocemente davanti ma poi si allontana in alto per cui non è possibile seguirlo e torno dagli amici.
Sono quasi tutti riuniti ad esaminare il fucile di Ivo, un ex guardia caccia ancora attivo e svelto nonostante l’età non più fresca.
Mi rivolgo ai due che avevano sparato: “Ma cosa avete fatto?” rimproverandoli per la doppia padella, poi vedo il fucile calibro 12 di Ivo con la canna aperta come un fiore sbocciato proprio sopra al corrimano, questi ancora eccitato per l’accaduto e con l’adrenalina alle stelle, esclama “il cinghiale se ne è andato ma è stato un miracolo che non sia successo qualcosa di grave, avrei potuto perdere la mano o la faccia, per il cinghiale pazienza, tanto è rimasto nella zona, in canna forse era rimasta la borra della cartuccia sparata con il primo colpo e senz’aria è scoppiata” il fucile è di ottima marca e seminuovo.
Tutti l’esaminiamo e commentiamo l’accaduto. Consegno l’altro mio fucile che porto sempre in macchina a Ivo, esortando tutti a continuare la cacciata, ci si riunisce e si riparte. Mi piazzo all’interno di un fitto bosco di lecci dove un trottoio scende dal monte, i battitori sono sopra a me, sento alcuni spari a salve e le loro urla e i cani che abbaiano ancora lontani, nonostante ciò qui subito mi appare un grosso cinghiale nero, non mi vede e viene verso di me, appostato dietro un tronco di un leccio, è vicinissimo, punto la mia carabina 3006 e premo il grilletto: “tic”, aimè il colpo non parte, il cinghiale fugge impaurito accorgendosi del rischio subito e si dilegua nel bosco. Per estrema disdetta ma in altro momento sarebbe stata fortuna, subito dopo ne arriva un altro in diagonale, davanti, cerco di caricare di nuovo aprendo e chiudendo l’otturatore per inserire un’altra cartuccia ma niente: c’è quella non esplosa in canna e la nuova si mette di traverso per cui l’otturatore rimane aperto e non carica, non c’è niente da fare non riesco di nuovo a sparare, prendo il fucile e lo lancio in aria verso il cinghiale che nemmeno troppo spaventato se ne va tranquillamente. Grido alla posta vicino a me: “Dai, dai spara c’è il cinghiale”, silenzio, non lo ha nemmeno visto. Qualche sparo è più in basso, spero che qualcuno avrà ucciso la sua preda.
Torno sconcertato verso la macchina, arrivano anche i canai dicendo “Lassù abbiamo trovato due cinghiali, li abbiamo visti scendere verso le vostre poste, ma nessuno ha sparato, cosa è successo ancora?”
Le spiegazioni sono inutili, il mio fucile ha il mirino rotto per il colpo subito dopo il volo, aiutato da qualcuno cerco di sbloccarlo, alla fine ci riesco e sparo verso il terreno la cartuccia rimasta nella canna, questa volta il colpo parte e il rumore assordante si perde nella vallata, ondulando e rimbombando come una grande onda di mare in tempesta.
Alfredo Lucifero