E’ una giornata calda, impensabile per i primi giorni di novembre quando apre la caccia al cinghiale. L’autunno è sceso sui boschi che circondano la zona stabilita con i colori dell’arcobaleno: macchie rosse e gialle tra l’intenso marrone delle foglie morte ancora su gli alberi, il grigio nero dei lecci e il verde di qualche pino.
E’ già tardi e il sole splende abbagliando i miei occhi miopi e stanchi per l’estate da poco lasciata, mi metto gli occhiali scuri per proteggerli.
Insieme con la piccola squadra di cacciatori variamente composita “la disperata”, facciamo colazione prima di iniziare la caccia all’animale nero e grigio misteriosamente nascosto nel bosco, poi ci muoviamo con le macchine per avvicinarci alla partenza. Lentamente alterniamo i posti tra gli amici della squadra, una macchina con alcuni cani resta alla casa di caccia per non portarli sul posto tutti.
Sulla mia prendono posto Maurizio e Francesco, il primo un vecchio cacciatore ospite con occhiali e baffetti bianchi da un’aria toscana sveglia e sincera, il secondo medico figlio di un caro amico scomparso, giovane e agile come un camoscio; lasciano alla casa di caccia le loro auto, altri seguono lo stesso sistema. I cani nelle loro gabbie dalle forme bizzarre, abbaiano ansiosi di partire insieme a noi per dare sfogo alla loro passione parallela alla nostra ma per loro più intensa perché dovranno trovarsi vicini ai cinghiali e più di noi rischiano le loro difese aguzze e pericolose. Nel cielo in direzione del mare si sta affacciando qualche nuvola blu scura che corona l’azzurro intenso del resto del cielo. Decidiamo dove cacciare. I canai Mauro e Luciano entrano nel bosco con i loro cani: Pippo un postvait arancio dal petto bianco, Toby un meticcio segugio provetto abbaiatore a fermo, Vespina altra meticcia di segugio italiano, Luciano con altri due o tre meticci dalle origini abbastanza improbabili e non rintracciabili. Con Maurizio e Francesco lasciamo la macchina e scendiamo a valle della strada, ci mettiamo a lato del bosco: mi piazzo a capo di una macchia di pruni, raggiungendola con un faticoso percorso sul maggese appena lavorato, Maurizio sotto alla medesima macchia a circa 50 metri da me e molto più in fondo Francesco che in omaggio alla sua gioventù può camminare meglio di noi. Le altre poste della squadra scendono dall’estremità opposta del bosco che così circondiamo impedendo parzialmente la fuga dei cinghiali che vi si possono trovare.
Nel frattempo quel nero di nuvole che si assiepava dalla parte del mare lentamente va a coprire sempre di più l’azzurro del cielo e in lontananza si incominciano a sentire rumoreggiare i tuoni. Il destino della bella giornata va imprevedibilmente cambiando. Ho dimenticato di togliermi gli occhiali da sole lasciando sulla macchina quelli chiari. A questo punto sarebbe troppo faticoso e lungo risalire per cambiarli spero che non mi disturbino, ancora il tempo è molto sereno e anche se il sole andasse via potrei vedere lo stesso.
Ci mettiamo in attesa, in lontananza si cominciano a sentire abbaiare i cani ma il nero blu delle nuvole, evidentemente gravide di pioggia e di scariche elettriche sta avanzando velocemente coprendo completamente il cielo che rimane azzurro soltanto verso nord come una finestra di speranza. Sono seduto sul seggiolino portatile e malfermo per attendere più comodamente gli sviluppi della battuta. Sento i cani abbaiare più vicino ma il loro suono è coperto dal rombo dei tuoni e dallo schianto dei fulmini. Un temporale quasi estivo si sta avvicinando velocemente: cominciano a cadere le prime gocce che mano a mano si intensificano trasformandosi in acquazzone violento. I fulmini ormai cadono vicini, l’acqua scroscia sull’ombrello di tela cerata verde che mi ero portato dietro per cautela, il terreno si inzuppa d’acqua che lo rende marrone scuro. Intorno a me sembra calare la notte, solo schiarita dai lampi dei fulmini; comincio a pensare che sarà meglio tornare verso la macchina. Improvvisamente un cinghiale si affaccia sulla curva della collina dirigendosi dritto dritto verso di me, le sue setole scure sono più scure per la pioggia e si confondono con il maggese bagnato. Maurizio che mi vede indifferente e preoccupato per il temporale, mi avverte gridando “Attento, attento arriva il cinghiale!!! Attento!!!”. Il cinghiale si ferma un attimo al suono inaspettato della voce, si gira immediatamente fuggendo da dove era venuto e scomparendo completamente dalla mia vista incerta ed oscurata dagli occhiali.
Dalla parte opposta del bosco due o tre spari vibrano l’aria come tuoni: forse quel cinghiale che poteva essere mio è andato a farsi sparare dall’altra parte. La pioggia corre in cielo e in terra forma dei piccoli torrenti gorgoglianti, i tuoni scuotono il terreno e il mio cuore, i fulmini picchiano vicino, cerco inutilmente di dare una voce a Maurizio che non mi sente e agli altri e mi avvio faticosamente verso la strada. Cammino in salita tra le zolle bagnate con grande fatica, gli stivali affondano e si appesantiscano per la creta che si attacca alle suole quasi imprigionando le gambe in una massa grigia di fango. I fulmini vicini e frequenti mi danno la carica necessaria a camminare, ogni tanto mi fermo ma ad ogni fulmine riparto e faccio un passo in più, spero di arrivare presto alla strada. Penso che la macchina sia abbastanza sicura agendo come una gabbia di Faradayt.
Alla strada arrivano anche gli altri amici disperati e impauriti: i fucili attirano i fulmini. Ci sono anche i canai e i cani infreddoliti, bagnati e con la coda tra le gambe. Corre notizia che dall’altra parte del bosco le poste sono riuscite ad uccidere tre cinghiali, tra i quali quello che il destino aveva assegnato a me e da me perduto come tante altre cose per l’intervento del tempo e forse principalmente per gli occhiali da sole che mi hanno impedito di vederlo subito mentre si dirigeva verso di me, anche se Maurizio mi ha urlato incautamente facendolo fuggire, ma la colpa è sempre mia: ogni azione che ci accade proviene sempre da noi stessi. A quel punto resta il problema di recuperare i tre cinghiali uccisi ma ci avremmo pensato dopo. Nel frattempo con tutta la squadra ci dirigemmo verso la casa di caccia dove sapevamo acceso un fuoco ristoratore da qualcuno molto previdente.
A me resta questa nuova esperienza tra le tante vissute e pagate da regalare ai cacciatori: non andate mai alla posta del cinghiale con gli occhiali da sole!
Alfredo Lucifero