Cacciatore per passione, tassidermista per hobby e ortolano per mestiere, possedeva alcuni orti a ridosso del mare, dove erano sparsi acquitrini e pozze d’acqua, nei quali preparava all’occasione degli appostamenti temporanei per la caccia ad anatre e trampolieri. Nei mesi fra settembre e novembre quei chiari fra gli orti erano frequentati dagli aironi cenerini che, giunti da lontano, dopo aver attraversato il mare, si abbassavano di quota per atterrare fra gli specchi d’acqua, dove c’era buona pastura. Teo salutava con gioia soprattutto l’arrivo dei grandi trampolieri. Ma gli aironi gli davano da vivere perché amava imbalsamarli per poi venderli. Erano molti i committenti che ambivano quei simulacri impagliati per farne mostra nei salotti. Possedeva anche una bretoncina che gli era sempre accanto, soprattutto da quando, inspiegabilmente, era stato abbandonato dai figli e dalla moglie. La disinteressata fedeltà di Black compensava l’isolamento in cui l’uomo viveva.
All’arrivo dell’autunno quindi salutava con gioia l’arrivo di anatre, aironi e chiurli, in coincidenza della raccolta degli ortaggi. L’attività venatoria gli forniva qualche soldo con la vendita della selvaggina a chi aveva bisogno di carne a buon prezzo, in quei primi anni del dopoguerra. Non appena abbatteva qualche airone si portava nel laboratorio di tassidermia, adattato in modo approssimativo, e subito a sviscerare intestini e ricostruire scheletri ferrei per ricavarne sagome parlanti di ardeidi dai becchi acuminati e dall’aspetto vivo e vero. Era molto bravo nel ridare espressioni significative pur nell’atteggiamento statico del selvatico impagliato.
Putroppo quel detto latino: “Sic transit gloria mundi” valse anche per lui. E proprio quando aveva in mente di acquistare una nuova doppietta che sostituisse il vecchio schioppo ereditato dal nonno paterno, a cani esterni e tanto malandato che era costretto durante la caccia e dopo lo sparo, a riordinare percussori e grilletti, i numerosi stuoli di aironi non si videro più. Passava settembre, sopraggiungeva ottobre e i selvatici che arrivavano dal mare, diminuivano. Di aironi ne abbatteva veramente pochi, una decina a stagione, non riuscendo a soddisfare le richieste di imbalsamazione. Teo, di buon mattino, scrutava il cielo, soprattutto verso il levante e non si spiegava quelle assenze. Spesso si appostava anche di notte, all’umido e al freddo, Black vicino, a fargli compagnia e a condividere tristezze e malinconie. Ma nelle notti lunari, nelle ombre celesti, nulla percepiva o appariva.
Gli anni passavano inesorabilmente e il ricordo della moglie e dei figli s’era fatto lontanissimo. Negli occhi di Teo si poteva intravvedere una difficile esistenza al tramonto, mentre in quegli di Black si percepiva una speranza inconscia di vita. Eppure ciò che gli arrecava più sconforto, a deprimerlo nello spirito, era l’assenza delle prede. Gli aironi lo avevano abbandonato e più non pasturavano negli orti che erano rimasti incolti per le precarie condizioni di salute di Teo. Un mattino d’aprile si ripetè il miracolo. L’uomo sentì guaire Black che lo avvertiva di qualcosa. Erano aironi di passo. Quel lamento cagnesco non lo poteva tradire, lo conosceva fin troppo bene; tante volte lo aveva percepito e altrettante volte la bretoncina lo aveva invitato alla caccia e al lavoro.
Uno stuolo di una ventina di cenerini gridava nel cielo. E questa volta quei gridi rauchi lo impaurivano. Ad aprile la caccia era chiusa, e i guardiacaccia lo aveno ammonito a non azzardare fucilate, perché sarebbero sopraggiunti di corsa alla capanna per punirlo. E Teo questo lo sapeva. Ora sofferente nel letto presagiva la fine, accarezzando il cane. Eppure i grandi uccelli erano lì ad attenderlo come a rispetto del dolore umano. Teo non aveva più la forza di lavorare. Gli si parava dinanzi agli occhi l’immagine della morte. E solo un cane era presente a quel trapasso. Quando la bara fu portata all’ultima dimora, nell’alto del cielo due stuoli di aironi si incrociavano, lanciandogli il grido d’addio, mentre sulla terra solo Black gli rendeva l’estremo saluto.
Domenico Gadaleta