E cominciava la festa verso la metà di ottobre, con lo spirare dei venti propizi, come la brezza del maestrale che allietava lo spirito. Per intere giornate sugli italici litorali danzavano le allodole appena giunte dalla lunga ed estenuante migrazione. Salutavano la raggiunta terra con voli di ricognizione. Giravano nel cielo, si abbassavano sulla battigia, sfioravano le onde; allegre, sfarfallanti anche se stanche. Poi alla vista dei terreni adiacenti le spiagge, sostavano per poco. E ritornavano in volo perché dovevano guadagnare le terre di svernamento: le amene colline dell'entroterra per cercare e ricercare la pastura. Attratte dalle stoppie ricche di vecchi semi appetitosi.
E per tanti e tanti giorni si avvicendavano gli stuoli d'entrata. Continui pigolii celesti allietavano i barcaioli che salutavano i nuovi arrivi. Tra quei pescatori non mancavano gli amanti della caccia. In fondo pesca e caccia sono la stessa cosa; cambia la forma non la sostanza. E al dondolio delle barche sulle abbozzate onde del maestrale, continuava la festa e per tutto ottobre e buona parte di novembre sulle colline si partecipava a continui voli e pigolii e fuochi d'artificio ad intermittenza. Erano le terre degli antichi pastori che consumavano la vita e il lavoro e spesso incontravano cacciatori amici. La quantità dei voli illudeva l'allodolaro a credere nella facilità del tiro. Ma così non era e non è, perché l'ondeggiare delle allodole celesti, snerva, irretisce e spesso confonde il tiro. Tanti sono i figli di Diana che tirando ai piccoli volatili che girano intorno agli specchiettì, non riempiono i carnieri, ma svuotano le cartuccere. Danze continue intorno alle civette d'un tempo.
Molte ci lasciavano le penne, quelle del destino. Sì perché l'allodola, forse più del tordo, è stata sempre una preda ambita. E c'era chi sosteneva con arroganza che il piccolo volatile non valeva la cartuccia. Ahimè, non aveva previsto l'oggi, col declino che la caccia ha subito anche per la prepotenza umana che ha distrutto e avvelenato ambienti dove una volta vivevano uomini e bestie. Oggi contiamo sulle dita le allodole che si presentano ai richiami. La civetta viva bob è più permessa alle feste e alle danze. E si ricorre a specchietti avveniristici e a civette di plastica, col meccanismo delle ali battenti. Il piccolo fischetto a bocca, d'ottone, non è più attraente, se non è usato da quei pochi maestri del richiamo, che riescono a produrre pio- pii e gorgheggi sopraffini.
E veniamo all'oggi. Dov'è finita la festa? Dall'Adriatico selvaggio che per il poeta è verde come i pascoli dei monti, più non giungono stuoli massicci e continuativi, come una volta. Solo qualche stuoletto smarrito fra le nebbie e le trasparenze autunnali, va alla ricerca di una festa che più non trova. Ma quali sono le ragioni di tali assenze? E' vero come dicono gli osservatori che negli ultimi lustri la consistenza della specie trovasi in uno sfavorevole stato di conservazione? Per i calendari venatori degli ultimi anni, in tale pratica venatoria, non si devono superare i dieci capi giornalieri, per un numero limite di cinquanta capi stagionali. Com'è scoraggiante partecipare ad un rito che non c'è quasi più. C'è da chiedersi: - cosa succede nelle terre nidificanti? Lontane terre euroasiatiche forse avvelenate dalle tecniche agricole.
E così è finita la popolare festa di massa; il pane dei poveri non è più alla portata di tutti. E quindi è un grave errore accanirsi per una caccia di quantità. Bisogna stare alle regole per non deludere le future generazioni, e per far sì che la festa continui, anche se in dimensioni ridotte. Se non esistono regolamenti internazionali sui carnieri, bisogna attuarli. Ne sono responsabili coloro che governano il mondo. Sarebbe sbagliato abolire la caccia alle allodole, perché sarebbe veramente la fine. Sempre ad ogni abolizione, subentrano riduzioni estreme di specie.
E che la festa continui per sentire e risentire il gioioso e festoso pigolio nei nostri cieli. In bocca al lupo, allodola!
Domenico Gadaleta