Giornata solatia, appena baciata dalla leggera brezza del maestrale. Siamo ad ottobre, mese propizio alle grandi migrazioni. E infatti il primo airone si porta verso il sole, mentre da levante uno stuolo proviene lento e deciso, verso la battigia. Ne puoi osservare il bianco petto, con il color cenere del dorso e delle ali. Il becco a pugnale è retratto, pronto ad allungarsi quando si poserà sulla scogliera. L’airone possiede nel becco un’arma micidiale dallo scatto repentino, a colpire soprattutto gli occhi dell’avversario, uomo o animale che sia.
Poi avverti il rauco grido di richiamo: – Craak – più volte ripetuto. E’ una segnalazione di presenza e forse anche di avvertimento. E intanto i gabbiani sono spariti dalla battigia per dare spazio agli aironi che rimarranno per qualche giorno, per poi dirigersi verso le distese solitarie, ricche di paludi e stagni. Così lungo la spiaggia, a pelo d’acqua, appare il martin pescatore, pronto ad afferrare pesci e crostacei e a far mostra di sè con quel capino che gira a destra e a sinistra, attento a chi potrebbe sottrargli la preda. Ora è fermo sullo scoglio, questo piccolo migratore inquieto. Intanto sulla marina scende il silenzio. E’ l’aurora. Il cielo ha risucchiato il sole dalle acque; e subito la voce del barcaiolo rompe l’incanto, mentre al levarsi della prima brezza si scorge lontano un volo di fischioni. Avanguardia della migrazione che avrà la sua pienezza a novembre. Lo stuolo scompare lontano fino a rendersi invisibile. E’ il momento delle beccacce di mare. Le avverti dal fischio acuto e ripetuto. Decise si portano verso gli estuari del nord. Sono le undici. Il cielo è sereno e senza nubi e fra il riverbero delle acque colpite dai raggi del sole, nel silenzio imperante, squilla acuto e potente il fischio del re dei trampolieri: il chiurlo maggiore. E’ preceduto in volo da una pivieressa; è soltanto un incontro casuale, perché sua maestà il chiurlo non ha compagni né rivali. E’ l’unico padrone della spiaggia e del mare; fra breve lo sarà della palude.
Viaggia verso le distese umide, ma si adatta a vivere anche lungo le coste isolate dove è rara, se non assente, la presenza umana. Lo osservo, gli lancio un fischio col richiamo osseo dei miei padri cacciatori. Non mi cura per niente. E’ giorno di silenzio venatorio e non avrei nessun potere nei suoi confronti. E’ vero che i migratori nei loro lunghi spostamenti sono indifferenti a qualsiasi richiamo, anche ai più sofisticati.
Intanto trascorrono le ore del primo pomeriggio. Resto sulla spiaggia fino a sera per osservare se altri migratori passeranno per le vie del cielo. E’ un autunno solatio e così, distratto dai miei pensieri, sono sorpreso da un coro di fischi. E’ un linguaggio comune, una proposizione sociale. E sono sempre loro, i chiurli maggiori. Mi sorvolano ad una quindicina di metri; gli richiamo, si girano emanando un ripetuto fischio di spavento: – cuuìì – e tornano sulle loro rotte senza più curarmi. Ed ecco che ripassa, vibrando veloce, il martin pescatore, cui brillano le piccole ali di verde – metallico. Dal primo mattino insegue i suoi piccoli sogni. Poi un altro stuolo di beccacce di mare si fa sentire. Ne percepisco i fischi solitari e monotoni. Inizia la parabola celeste col sole a ponente e ancora tre aironi cenerini mi sorvolano alti, gracchiando. Li seguo. Girano come a volersi orientare, vanno vengono, lenti e possenti. Intuiscono che sono in arrivo le tenebre e non hanno più voglia di proseguire il viaggio. Forse trascorreranno la notte sulla spiaggia, ed infatti, con lente planate a spirali, si posano ad un centinaio di metri dal mio punto di vista. Sono ora corpi immobili in attesa di un sonno vigile. Ma ecco i piro – piri, stuolo folto e ciarliero che appena avverte la presenza dei tre giganti ardeidi, fugge e scompare all’orizzonte. Infine uno stuoletto di storni, puntini neri nel cielo al tramonto, mi ricorda che la migrazione non è finita; continuerà anche di notte: e saranno tenebre serene e stellate. E chissà quali e quanti altri migratori attraverseranno le vie celesti. Anch’io mi sento un migratore e lascio la spiaggia per scomparire nell’umana marea. E come figlio di Diana sarà la notte dei miei sogni ad inseguire illusioni di voli inquieti dell’umana esistenza.
Domenico Gadaleta