Ancora giovinetto Leopoldo volle seguire il padre nell'arte venatoria. Implorò tanto il nonno perché gli regalasse la doppietta belga con cui l'avo si era cimentato nell'arte del tiro e della caccia. Poi l'aveva appesa al fatidico chiodo perché gli anni più non gli permettevano mobilità e acutezza visiva. L'arma ricevuta gli accese dentro il sacro fuoco di Diana.
Correvano i tempi del primo dopoguerra (anni venti) e Leopoldo ogni giorno, sin dalle ore antelucane, si recava sulla spiaggia, ad appostarsi e a tirare a tutto ciò che volava. Il padre,ricco proprietario terriero, voleva che il figlio studiasse per intraprendere la carriera forense. Ma il giovane preso e compreso dalla forte passione per il tiro e la caccia, non voleva saperne di studi, né di curare le proprietà paterne. Amava cacciare ogni giorno. Di mattina lungo la spiaggia ad anatre e trampolieri, e di pomeriggio a tordi e ad allodole. Il padre Andrea si pentì amaramente di averlo iniziato all'arte di Diana. Sperava che il figlio, prima o poi capisse che quella passione doveva lasciare spazio anche al difficile mestiere di vivere. Niente da fare. Leopoldo imperterrito, alle quattro si levava da letto per figgire verso quel tratto di spiaggia del medio Adriatico. Gli stampi non erano mai rimossi, ben posizionati con astine di ferro che nemmeno le furibonde onde del maestrale riuscivano a scardinare. Simulavano gambette, pivieri, pantane, pettegole e qualche chiurlo. Leopoldo si preoccupava solo di posizionarli contro vento. Prima che sorgesse l'alba si cimentava con vari fischi che non conosceva bene. Ma tant'è. Erano tempi in cui i selvatici abbondavano ed anche dei fischi maldestri erano accattivanti per i volatili. Rari anche i cacciatori. Bisonava lenire le ferite di guerra e sbarcare il lunario per vivere alla giornata, soprattutto per chi doveva sfamare una famiglia numerosa. Problemi che non si ponevano né per Leopoldo né per il padre.
Un bel dì il figlio gli annunciò che avrebbe abbandonato la casa paterna per vivere da solo. E per papà Andrea, uomo buono e generoso, fu quasi disperazione e depressione. Ma se l'uomo propone il destino dispone. Così un bel mattino di un freddo novembre, giorno che si annunciava ricco di voli e di tiri, il nostro cacciatore, mentre si portava sulla spiaggia, da lontano intravide, fra le nere ombre della notte pennellate da qualche raggio di luna, un'ombra d'animale che si aggirava fra gli stampi. Perplesso, si fermò a scrutare i movimenti della bestia che non riusciva a individuare. Nel suo animo si insinuò una qualche paura e aiutato da una flebile lampadina si avvicinò lentamente ed in assoluto silenzio. L'arma era caricata a numero sette, ma non avrebbe mai sparato senza vedere e capire, come dovrebbe comportarsi qualsiasi cacciatore che si ritenga tale. Ed ecco l'animale andargli incontro con un grugnito di protesta.
Si trattava di un orso.
Tramortì dalla paura. La bestia era ferma fra scogli e stampi a scrutare le mosse del cacciatore. Nella più assoluta indecisione il giovane percepì lo stridio delle ruote di un carro che si recava al lavoro. Tenendo sotto controllo l'orso, si avvicinò al mezzo in movimento, fermando carrettiere e cavallo. Senza saluti e convenevoli, tanta era la paura e la confusione mentale,esclamò – C'è un orso sulla spiaggia! - La risposta fu secca e chiarificatrice: - E' fuggito dal circo!
Immediatamente ci si accordò sul da farsi e mentre il carrettiere col cavallo al galoppo si portava verso le maestranze del circo per il recupero della bestia fuggita, Leopoldo controllava l'orso. Ma nell'attesa degli eventi viveva l'eternità della paura. La bestia ciondolava col capo incerta sul da farsi. Attimi terribili in cui il cacciatore dimenticava la caccia pur se da ogni dove avvertiva fischi di trampolieri e richiami di anatre.
E se l'orso mi aggredisce!
Che fare?
Fuggire, sparare, gridare. Ahimè, il cuore gli batteva forte, mentre la fantasia ingigantiva il tutto fra le ombre antelucane. E ripensava al padre ignaro degli eventi. Il genitore tante volte lo aveva ammonito: - A caccia, mai da solo. - Ora il figlio viveva la verità di quell'avvenimento: - Mai da solo. -
Leopoldo avrebbe voluto in quegli attimi rivedere il genitore ingiustamente abbandonato. Intanto da parte dei responsabili dell'attività circense si recuperò l'orso.Il cacciatore salutò amorevolmente il carrettiere per poi recarsi verso la casa paterna. Raccontò il tutto ai familiari che lo riabbracciarono, ammonendolo. Si ricompose l'armonia perduta. Il padre ritornò a caccia con il figlio che ritornò al lavoro con il padre. Leopoldo continuerà a praticare l'attività venatoria, ma non più da solo, perché l'ombra dell'orso gli rimarrà dentro per l'intera esistenza, perseguitandolo spesso nelle concitate ore della notte.
Domenico Gadaleta