La notte non dormo mi giro e rigiro nel letto, forse sono nervoso, ricordo le tante aperture ogni anno a partire da quei tempi indietro che non ricordo più. La macchina è già pronta. Una mitsubishi Pajero. Ho già messo sopra le cartucce ma il fucile no non si può è pericoloso lasciarlo fuori. Ma quale dovrò portare?
Ho un 12 semi automatico Benelli che è poi quello definitivo che adopererò tutto l’anno. Un 20 anch’esso semi automatico Benelli che porto all’inizio quando gli uccelli sono giovani e poco impiumati; ma allora che cartucce ho preso? Mi sono forse sbagliato? Nel sacchetto sono del 12 mentre del 20 dovrei avere una cartucciera piena, di cuoio marrone da quando l’anno scorso ho riposto il fucile. Intravedo nel dormiveglia il volto dell’amico di sempre del compagno di caccia che se ne è andato prematuramente e insieme al quale ho condiviso la maggior parte delle aperture passate, anche i cani ...non sono più quelli. Allora ero sicuro un bracco tedesco kurshaar acquistato a Mantova dal canile dei fratelli Mazzacani, si chiamava “Astro”era perfetto, gran fisico CAC di bellezza alle mostre e un grande naso : l’avevo fatto su quaglie, beccacce e cuturnici, infine qualche fagiano, poi scomparve per un incidente di caccia. Ciro I e Ciro II anch’essi bracchi tedeschi Kurshaar ma di diversa genealogia, infine, adesso, Setters dal valore incerto, ambedue fatti solo su fagiani, ma uno che mi hanno regalato è sordo, “ Febo”, e l’altro “Fred” figlio di Nero del Dianella, nato con grandissimo naso l’aveva successivamente perduto per essere stato malato di leihsmaniosi, miracolosamente e totalmente guarito con una cura fortissima che però ha leso i delicati sensori della canna nasale. Ferma ancora bene ma in corsa investe clamorosamente.
Penso, “chissà se la sveglia alle 5 suonerà”, sarà meglio stare sveglio fino a quell’ora, tanto non sono stanco” apro la finestra: piove, qualche lampo scopre nuvole bianche o nere, accavallate l’una sull’altra; seguita a piovere quando vado a prendere i cani e li faccio salire in macchina nella gabbia a due scompartimenti, è un anno quasi che non escono e sono eccitatissimi nonostante la pioggia; comincio a bagnarmi anche se mi sono infilato un cappello di tela cerata in testa, siedo in macchina e parto. Per la strada una specie di diluvio: le ruote entrano in pozze d’acqua che mandano uno scroscio fortissimo sul vetro, quasi non vedo la strada, cerco di orientarmi con i fanali posteriori delle poche macchine che mi precedono, sono in ansia: “ succederà qualcosa” penso “sarà meglio tornare indietro!” Nonostante le difficoltà alla fine arrivo al bar dove ho appuntamento con due amici: uno è il figlio dell’amico cacciatore scomparso, l’altro un compagno di caccia di questi ultimi anni, tanti.
Anch’essi sono arrivati superando a stento l’acquazzone ed il temporale, appoggiati al bancone del bar sembrano due naufraghi superstiti da un affondamento di una nave.
Intanto il cielo stà diventando chiaro per un alba livida e piovosa. In quel bar sono riuniti molti cacciatori con i cappellacci in testa e avvolti in impermeabili di gomma, imprecano contro il tempo maligno e dispettoso; infatti il giorno prima era bellissimo e caldo, un prolungamento di un’ estate che sembrava non dover finire mai. Tutti fanno colazione: cappuccini e brioches, molti attendono a farla, aspettando altri amici, tanto non c’è fretta, non occorre più essere nei campi a sparare al primo fagiano dell’alba. Parlano e gesticolano a voce alta: di caccia, del tempo e a volte di politica anche se in quel contesto non c’entra per niente. Anch’io con gli amici ci raccontiamo alcuni episodi trascorsi, poi ricordo di aver visto alcuni fagiani al pascolo in un prato lungo la strada, grigio di girasoli tagliati giorni indietro, proprio dove avevamo deciso di fare l’apertura. Ora la pioggia è un poco diminuita e decidiamo di andare a dare un’occhiata sul posto. Un gruppo di cacciatori pensando di fare meglio si sono seduti intorno ad un tavolino ordinando un fiasco di vino e si sono messi a berne un goccetto per tirarsi su e mangiare voluminosi panini con prosciutto e formaggio, ridendo e scherzando ad alta voce.
Arriviamo sul posto stabilito, uno degli amici decide di andare, si veste da palombaro coprendosi fino agli occhi con un mantello di gomma, scende davanti ad un boschetto che parte dal bordo del torrente La Sterza. Con l’acqua i campi di girasole tagliato appaiono sempre più grigi; piove ancora io e l’altro amico non ce la sentiamo, si resta in macchina e si torna al bar tanto alla televisione c’è una corsa in moto per il titolo mondiale con Valentino Rossi.
Giro l’auto più avanti dove la strada si allarga : ci sono ferme altre macchine con accanto capannelli di cacciatori in attesa in piedi sotto la pioggia, riparati da grandi ombrelli verdi o marroni e uno, forse della moglie, rosso, che risalta tra il verde vivo, umido, dei prati e delle foglie degli alberi che gocciolano piccoli rivoli d’acqua chiara. La caccia verrà dopo, abbiamo ancora cinque mesi, una vita, per camminare e cercare le prede nei prati, nei boschi, all’aspetto, nei sogni.
Alfredo Lucifero