Quando arriva l'autunno, in chi per metamorfosi esistenziale sa di essere cacciatore, inizia la gioia di vivere. Non è che il cacciatore, nei mesi in cui è vietato cacciare, si senta un frustrato o un depresso; vive ugualmente la sua vita, nella speranza di un domani che sia pieno di soddisfazioni venatorie, anche se avverte la privazione di qualche realtà fondamentale facente parte del suo tessuto psicologico. E' l'attività venatoria, interrotta da lunghi mesi, che si presenta più volte nella mente con le problematiche vitali dell'essere uomini. E allora come si è ad agosto, mese carico di furori vacanzieri che spesso rasentano il delirio, il cacciatore rammenta e ripensa al suo paradiso che non è solo la ricerca del selvatico con un fucile tra le braccia, ma è il tutto che lo coinvolge e soprattutto rivive nel suo io la vera e autentica libertà, quando solo nella natura si sentirà dire dalla sua coscienza : “ Ecco io sono”.
E così superate le frenetiche problematiche dell'apertura o preapertura che si voglia, fatta di tesserini, calendari,versamenti di tasse,richieste di autorizzazione per attraversare parchi, licenze che non si sapevano essere scadute e quant'altro, si è già a settembre che passa velocemente, fra gioie e delusioni, con pochi giorni di caccia concreta. Ci si precipita in ottobre quando la caccia è aperta a quasi tutte le specie. E' il mese degli arrivi migratori, e lo percepisci dalle notti più lunghe, dalle albe più fredde, dalle spiagge silenti dove è finito il vocio dei vacanzieri, dal pieno ritorno al lavoro; sì, perché i cacciatori non sono fannulloni che timbrano senza recarsi a fare il proprio dovere, ma sono uomini miti, rassegnati al dovere quotidiano, dai volti seriosi, con qualche riga di sorriso, soprattutto quando sanno che il giorno dopo si ritroveranno con gli amici per portarsi nelle terre libere dalle frenesie cittadine. Ed allora ci si ricorda che a San Francesco, santo ambientalista mite e pacifico, arriva il primo tordo al fischio, cioè al chioccolo, e non alla musichetta inscatolata. E ti ritrovi a sbirciare qualche sprazzo di cielo attraversato da uno stuoletto di allodole, e presso qualche pozza d'acqua avverti il fischio del trampoliere migrante, e la lepre ti sfugge senza preavviso perché s'è fatta furba dagli scampati pericoli passati, e gli stuoli lunghi di gabbiani che lasciano le spiagge e così via.
Inizia la caccia, quella vera, quella ai migratori di sempre che ne sono l'essenza e la sostanza. Che l'uomo non perda mai questo enorme e fascinoso mistero della migrazione, che si protrae dalla notte dei tempi. “ Da dove vengono, dove vanno, chi sono?” proprio come i nostri interrogativi: “ Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?”. Mistero che l'uomo comune vive sulla sua pelle, ma che il cacciatore vero vive nell'anima.
Poi nella silente campagna, dove ancora non ruggiscono i trattori perché sono iniziate le piogge, e dove percepisci solo il ritmico alternarsi del vecchio contadino innamorato della sua zappa, senti lo sparo lontano di chi forse ha colpito il fagiano, quel maschio multicolore ancora tenebroso negli occhi che si spengono. E la sua fine era segnata dal destino della natura che comprende l'uomo stesso che spesso dimentica di essere natura nella natura per percorrere inopinatamente sulla terra un destino di arroganza che si arrende di fronte alla morte. E nella dialettica di vita e morte l'uomo ci sta tutto, con i suoi errori ed orrori, ma il cacciatore ci sta con più umiltà, ben conoscendo che la caccia fa parte della vita, della sua stessa vita. Nessuno ha il diritto di abolire l'arte venatoria con le sue regole, perché abolirebbe la vita dell'uomo-cacciatore. Chi lo fa si rende responsabile di un grave danno alla natura stessa. Perchè lo svolgersi di natura e caccia, vita e morte, risale alla notte dei tempi.
Ma già siamo giunti alla metà di ottobre, quando in un campo sterminato di stoppie per fortuna ancora non rimosse, ci troviamo di fronte ad uno specchietto, ad aggredire allodole. E se le allodole sono diminuite perché abbiamo avvelenato la terra, è diminuito responsabilmente ( almeno in Italia) il carniere prelevabile. E non appena siamo oltre la metà del mese, ci affascina lo zirlo del tordo che si è spostato dalle pinete nordiche per svernare nell'Europa mediterranea. Questo uccello dalla linea nobilissima, ha diritto ad una caccia sportiva, leale, ad un confronto consapevole. Non immaginiamoci carnieri vergognosi che ci macchiano la coscienza, ma rispettiamo il carniere legalmente previsto e torneremo a casa fieri della nostra passione.
E così in autunno si scompone anche il lepraiolo con i suoi segugi, il beccacciaio col suo setter/pointer. Affilano le armi gli amanti delle battute al cinghiale, i cacciatori montani che alla vista delle prime cesene o dei primi sasselli, prevedono rigori invernali. Poi ci immergiamo nel pieno autunno con novembre alle porte. Ma basta scrivere, anch'io sono cacciatore e mi devo preparare alla caccia di domani.
Domenico Gadaleta