Non appena ottenne il primo porto d'arma, ancora studente universitario, si immerse nella caccia, così come iniziato dal nonno che non era più fra i vivi. Ancora giovanotto imberbe, si portava spesso nelle praterie coltivate a grano ai confini con la Puglia e la Basilicata per tirare ad allodole e tordi. Non conosceva nulla di anatre, trampolieri, lepri, volpi e tutto quello che la caccia poteva offrirgli in quegli anni sessanta quando gli ambienti floreali e faunistici erano ancora lussureggianti e non inquinati dal sedicente progresso. Nardo, in solitudine, si recava a caccia non rammentando le raccomandazioni del nonno sulla necessità di un amico di caccia, nella buona e nella cattiva sorte.
Così iniziò ad assaporare le prime avventure. Non conosceva le anatre o gli acquatici in genere, perché l'avo, allodolaro puro, amava dedicarsi solo alle allodole. Ma quando lungo un canale dove scorreva un corso d'acqua , percepì il frullo di una femmina di alzavola che gli rubò due colpi, senza colpo ferire, rimase quasi allibito dall'evento. E gli capitò proprio per recuperare un tordo caduto nella prossimità di un'ansa che fu sorpreso dal sollevarsi in cabrata dell'alzavola. Rimase perplesso dalla forte vibrazione delle ali e dal volo frenetico verso il cielo.
La gioia di quel paesaggio silente ed incantevole dell'ultimo settembre, col sole che lentamente scioglieva la brina mattutina e con le allodole a rincorrersi in volo, si trasformò a sconforto per l'occasione perduta. Intuì che fosse un'anatra, ma non seppe riconoscerla. E la sorpresa si ripropose quando il selvatico riattraversò il canale e si fermò ad una cinquantina di metri. Cosa fare? Non aveva cartucce adatte all'occasione. Comunque ricaricò l'arma col piombo nove e tentò l'avvicinamento. Ma più volte il volo dell'alzavola lo sorprese vanificando di fatto i colpi tirati. Non conoscitore di anatre, né esperto di quel tiro, erano i primi tempi di caccia per il giovane cacciatore; era la prima caccia. Eppure quel volo lo affascinò. Nello sconforto e nella delusione Nardo intuì la bellezza di quel selvatico dal volo velocissimo e ammaliante. Seppe da cacciatori più esperti che il tiro all'alzavola richiede attenzione, velocità e freddezza ed anche quando si è all'aspetto la piccola anatra risulta una saetta imprendibile che va anticipata abbastanza, ancor più se il selvatico vola sotto la spinta del vento. Così Nardo cominciò a capire che la vera caccia richiede pazienza, temperanza e preparazione.
Poi piano piano arrivano i risultati e le prime soddisfazioni, soprattutto se si affronta tale passione con onestà e senza atti illeciti. Il giovane intraprese una strada del tutto in salita che lo rendeva vero cacciatore e naturalista. Volle conoscere bene la vita, gli ambienti e le abitudini dei selvatici a cui si dedicava. L'alzavola che lo aveva sorpreso, sconfortato e deluso, spesso faceva parte del suo carniere e così il giovane ormai maturo, al seguito di qualche amico, percepiva il piacere del possesso della preda, componente contestuale alla passione, senza cadere nello sconforto quando il selvatico non colpito volava via, irrimediabilmente.
Capì che non esiste cacciatore che non ha mai sbagliato un colpo e che nella vera arte venatoria si stabilisce tra l'uomo e la preda una lotta leale che non sempre è a favore dell'uomo armato. Ricordava spesso a se stesso e agli amici quanto gli aveva più volte suggerito il nonno : “ il selvatico dopo il secondo colpo ha il diritto a sopravvivere”.
E non volle mai acquistare un fucile semiautomatico che gli avrebbe permesso il terzo colpo. Gli bastava quella doppietta inglese, per altro di pregio, che gli aveva regalato il nonno, e solo per le allodole e i tordi acquistò un calibro venti, maneggevole e leggero, in omaggio anche ad una maggiore sportività. Il nonno, le alzavole, gli sconforti, le lotti giovanili e quella intelligenza e nobiltà d'animo che portava dentro, lo resero un uomo e un cacciatore di merito e di valore. Viva la prima caccia!
Domenico Gadaleta