C'è un uccello nella natura che non ha uguali per l'istintiva e naturale generosità della sua anima sensitiva. Questo è il tordo e in modo più specifico il tordo bottaccio. Lo conoscono in molti soprattutto per la squisitezza e la bontà delle sue carni che gli antichi romani prediligevano fra quelle degli altri migratori alati. “ Inter volatilia turdus, inter pisces triglia, inter legumina fava”. Per dire semplicemente che tra i volatili il più saporito è il tordo, mentre tra i pesci eccelle la triglia e tra i legumi, la fava. Queste affermazioni si possono discutere fin che si vogliono, ma è indiscutibile che le carni del tordo sono fra le più sapide tra i selvatici alati. Ed è forse per questa ragione che Madre Natura ha stabilito che doveva essere un selvatico generoso e a disposizione degli amanti di Diana.
Tale volatile mostra la sua spiccata generosità soprattutto ai cacciatori. Dopo aver nidificato nelle alte pinete nordiche, migra verso le aree mediterranee, molto spesso credendo ai richiami e concedendosi facilmente all'abbattimento. La sagoma del tordo è quasi perfetta nella sua linearità, anche se non raggiunge la nobile bellezza della beccaccia, la sontuosa fattezza del chiurlo maggiore, la grazia paradisiaca del piviere dorato, e così via. Il bottaccio ha un'anima popolare, disposto a tutto. Ma attenti! Nel corso del tempo si è fatto furbo, sfugge facilmente a qualsiasi insidia, scomparendo dagli habitat tradizionalmente frequentati. Ha un elevato adattamento all'ambiente che frequenta. Ama i boschi regali, le ricche pinete transalpine, e sverna volentieri fra gli ulivi mediterranei, dove pastura nutrendosi con i sapidi frutti dell'ulivo. Non disdegna i vigneti dove pilucca acini antichi, dolci al palato. Ma appena percepisce che la sanità dell'habitat frequentato è stata compromessa, scompare irrimediabilmente.
E' ciò che succede ai nostri giorni, quando si irrora la terra con diserbanti che sostituiscono l'antica aratura, alterandone la qualità e la stessa pastura di cui si ciba. Così il selvatico si allontana alla ricerca di nuovi habitat, come boschi e pinete dove troverà una pastura diversa dall' oliva e dall'uva, ma certamente più sana. Affronta la sua fine con coraggio, ma non ama lasciare le penne per i veleni che gli incauti umani spargono dappertutto. Tale turdide così generoso e popolare, definito come il “ pane dei poveri” sia per la bontà delle carni che per l'onnipresenza in tutti gli ambiti di caccia, ha comunque dei nemici indegni, soprattutto fra coloro che non lo amano aggredire con onestà e a viso aperto. Penso a chi non lo caccia con sportività, a chi lo aspetta addirittura fra le tenebre per sparargli, o lo inganna con tecnologie illecite pur di impossessarsene ad ogni costo. L'umile tordo sa scoprire le insidie e non si presenta più ai quotidiani appuntamenti. E così succede che dopo i primi giorni di passo i potenziali aggressori o nemici, restano con l'amaro in bocca per la sua assenza. Come principio generale dobbiamo riconoscere che la natura sa ripagarci dei danni che le infliggiamo, senza sobrietà e correttezza. E così il pane dei poveri comincia a scarseggiare. Amato tordo!
Domenico Gadaleta