C'era una volta la caccia marzolina che si protraeva con la primavera nascente e per tutto marzo. In tale mese i cacciatori si preparavano a dare l'addio alla stagione di caccia dedicandosi soprattutto alla ricerca dei migratori d'arrivo che già dalla metà di febbraio si presentavano nelle italiche terre. Si trattava di uccelli di ripasso che sostavano per un certo periodo primaverile per poi ripartire verso le terre di nidificazione. Erano soprattutto limicoli che si fermavano presso paludi e stagni anche occasionali, creatisi a seguito delle ultime piogge invernali. I cacciatori più giovani preferivano dedicarsi a tordi ed allodole, col rischio di restare improvvisamente delusi dalla loro assenza perché a marzo buona parte dei turdidi è tornata alla terra natia, e le allodole si spostano verso i campi vicino al mare, per ripartire.
I cacciatori d'annata preferivano frequentare le acque interne o le spiagge, dove era possibile incontrarsi con trampolieri d'ogni specie: combattenti chiamati anche gambette o gambettoni, pantane, pettegole, pivieri, chiurli, beccaccini e così di seguito. Fra gli uccelli di fischio la faceva da padrona soprattutto la pettegola che ci teneva a salutare il cacciatore levandosi per pirma dallo stagno, dal pantano o dalla ripa, per portarsi nell'alto col suo fischio vario e ripetuto che spesso imitava anche altri trampolieri.
Sembrava sparire nei cieli, con un saluto definitivo; ma così non era perché il cacciatore esperto si riponeva dentro un canneto ad attendere il suo ritorno che avveniva immediatamente a breve, ma sempre fuori tiro. Il verso della pettegola s'intervallava e si ripeteva senza soluzione di continuità. A volte capitava d'incontrare veri e propri stuoli che si incrociavano nel cielo a debita distanza di tiro. Se la posta era ben nascosta anche il semplice fischio con le bocca poteva attirarla, ma lei a volte ti sfrecciava sul capo, in segno di provocazione. Il cacciatore accettava la sfida con passione e divertimento, come deve essere la vera caccia. E consumava la giornata col chiodo fisso della pettegola che si percepiva da ogni dove, col verso variegato simile ad un chioro – chiò, chioro – ro -ro. E poi ancora, fino a disperdersi all'orizzonte pder ripresentarsi alla sfida, fino a sera, a tramonto avvenuto, quando l'uccello emanava l'ultimo saluto alla palude e al creato con un allungo che sfumava nelle tenebre: chioroooooo.
Il cacciatore andava via deciso a ritornarci nelle ore antelucane del giorno seguente, per affrontare nuove provocazioni. Era stato ammaliato. M il giorno dopo nessun fischio si percepiva nel cielo. I trampolieri erano spariti e la pettegola era lontana, molto lontana, intenta agli amori. Bisognava attendere la stagione successiva. Ti viene di pensare a quegli incontri casuali con belle ragazze che vorresti trattenere per carpirne la grazia, ma che improvvisamente, con un saluto appena abbozzato, ti lasciano e non le rivedi più. Era l'ultimo giorno di marzo permesso all'attività venatoria.
Oggi la caccia alla pettegola non è più permessa, ma quand'anche lo fosse, di pettegole se ne vedono pochissime, per non dire niente, almeno nelle nostre terre, perché l'andare dell'uomo ha operato trasformazioni ed alterazioni, cancellando paludi e acquitrini e non dando più spazio alla formazione di acque spontanee. Sulla faccia della terra ce ne saranno ancora di pettegole, ma per chi sogna cacciando o caccia sognando, quelle provocazioni sono finite per sempre. Addio pettegola!
Domenico Gadaleta