Viveva con moglie e figli nelle terre del Castel del Monte dove fra grani, orti e sparsi ulivi era situata la sua dimora. Sin da piccolo aveva seguito il nonno materno sia nel lavoro dei campi che nella passione per la caccia. Il suo nome era Nicola, ma gli amici lo abbreviavano in Nicò, con disappunto dello stesso. Al primogenito aveva dato il nome di Federico in ricordo del grande imperatore Federico II di Svevia, amante delle arti e della falconeria e autore del famoso trattato “De arte venandi cum avibus” dell'arte della caccia con i falchi. Le colline intorno al Castel del Monte erano un paradiso di caccia per lo stesso imperatore e i suoi falchi, ma per Nicò l'interesse venatorio riguardava soprattutto tordi, allodole e lepri.
Uomo nobile e generoso, preferiva esercitare l'arte venatoria in perfetta solitudine. Eccelleva nella caccia ai tordi e di questi conosceva vita, morte e miracoli. Ne prevedeva i giorni del passo come nessuno mai. Le predizioni di Nicola iniziavano ad ottobre quando si aspettavano i bottacci. Sin dalla prima decade del mese, verso la tarda sera, si allontanava fra i campi per saggiare l'arrivo del vento, lo spuntare delle stelle, la temperatura dell'aria, il richiamo della civetta o il passo di qualche migratore. Osservava attentamente il leggero muoversi delle foglie al vento. Il levante lo sconfortava, come pure lo scirocco. Anche la forte tramontana non era propizia al passo. E così ritornava a casa deluso perché non ci sarebbe stato passo. Lo aspettavano gli amici.
Non ancora! Replicava. Ma il passo è alle porte!
Poi il miracolo della migrazione! La notte si preannunciava col brillio delle stelle, con la brezza del maestrale che rinfrescava l'anima, col grido festoso della civetta e con tutti i segni che solo Nicò riusciva a decifrare. Era fatta. Nella notte sarebbero arrivati i tordi. E con un mezzo sorriso informava gli amici, avvertendoli ripetutamente di non intralciare la sua solitudine e il suo atavico appostamento. La prima del passo era notte insonne. Nicola tirava dalle tasche un mazzo di foglioline di ulivo e le osservava attentamente; le combaciava a coppia, le legava con un sottile spago e portandosele alle labbra, provava e riprovava a zirlare fino a quando sortiva uno zippio talmente perfetto che avrebbe attirato irresistibilmente i tordi di entrata. Molti tentarono di imitarlo nell'uso di quel richiamo, ma senza successo. La riservatezza di Nicola difficilmente lasciava trapelare segreti. Imitava con estrema perfezione lo zip appena percettibile dell'uccello in calata. Riteneva inutile il richiamo col chioccolo. “Non serve a niente- diceva - perché da noi i tordi non sono in amore. Comunicano solo con il caratteristico zip “ Solo alla fine di marzo quando la maggior parte dei bottacci si è trasferita nelle terre di nidificazione, qualche ritardatario accenna il canto d'amore.
Iniziava la festa della caccia. Il nostro amico, sin dalle ore antelucane, certo delle previsioni, si appostava nei pressi dell'albero di buttata che generalmente coincideva con un antico mandorlo e via, con lo spuntar dell'alba, a tirare giù tordi con quel magistrale richiamo. Tirava solo da fermo senza sbagliare un colpo. Ed erano vistosi carnieri di tordi che Nicola riservava per sè o per amici bisognosi. Qualche volta li vendeva ai nobili della zona, che se pur cacciatori, non possedevano l'arte del richiamo di Nicola. Anche le allodole le attirava con un tio tio succhiato fra i denti, e quelle si posavano fra i solchi dei grani arati, presi di mira dalla doppietta belga a cani esterni ereditata dagli avi. Tirava avanti per tutto ottobre e novembre.
Nei mesi più freddi limitava le giornate di caccia poiché soffriva di fastidiosi reumatismi. Quando ebbe la percezione che la sua vita volgeva al termine, come quella di qualsiasi mortale, Nicola preferì accompagnarsi con vari amici e lasciare loro l'arte del richiamo. Ma per quanto si adoperasse a spiegare il movimento delle labbra e dei denti per sortire il magistrale zippio, nessuno mai riuscì ad imitarlo. Poi il nostro amico passò a miglior vita e nei pressi della sua casetta, ormai abbandonata, qualcuno ha lasciato scolpito sulla pietra tre volte zip zip zip, come per dire: - riposa in pace – E un rametto sempre verde d'ulivo lo ricorda ai posteri.
Domenico Gadaleta