Finalmente la spasmodica attesa era finita! Mio padre, uno dei pochi tornati dalla campagna di Russia, mi consegnò la mia prima licenza, nuova di zecca. Avevo da pochi mesi compiuto 16 anni e con la sua firma ero diventato cacciatore a tutti gli effetti. Come ogni ragazzo che era nato con la passione venatoria nel sangue, avevo sempre seguito il mio genitore e i suoi amici nelle battute di caccia. Qualche volta mi aveva anche fatto sparare ai barattoli, ma ora ero indipendente e mi sembrava di toccare il cielo con un dito.
Ricordo che era un sabato pomeriggio, metà Aprile. Allora si cacciava fino al 15 ed era proprio l'ultimo pomeriggio utile. Inforcai la mia bici, doppietta a tracolla (senza fodero) e via verso un campo allagato che ospitava diversi pivieri. Feci le prime padelle e incarnierai qualche capo, ritornando a casa veloce come il vento, come trasportato su una nuvola. Dopo qualche mese, ecco, siamo già ad Agosto! Come regalo per la mia promozione papà mi annuncia che porterà anche me in Piemonte per l'apertura. Figuriamoci, in Piemonte, regione che conoscevo solo sulla carta geografica.
Una parentesi è d'obbligo per inquadrare il lavoro di mio padre: rappresentante di vini nell'azienda di famiglia, venditore nato, capace di vendere vino anche ad un astemio, macinatore di chilometri in quanto esistevano solo i telefoni fissi a manovella (pochi) e per vendere dovevi recarti personalmente dai clienti sparsi per tutta la Lombardia. Allora contavano molto i rapporti personali. Aveva da poco acquistato una FIAT 1900 diesel, forse la prima auto a gasolio della casa torinese. L'accensione del motore tramite una candeletta necessitava di qualche minuto di preriscaldamento.
Ad ogni modo partimmo, dopo centomila raccomandazioni di mia madre, con il nostro setter di nome Paris nel baule, lievemente rialzato per l'aerazione. Naturalmente strada normale da Ghedi (BS) attraversando paesini, paesi, città, fino a Quinto Vercellese. In un grande cascinale, la Parella, con una corte grande come un campo di calcio, ci attendeva un nostro concittadino, colà emigrato anni prima per fare il mungitore di mucche. Disponeva di una casetta messa a disposizione dal proprietario, cacciatore di anatidi. Ero stupefatto e meravigliato dall'immensità delle risaie che non avevo mai visto e dalla quantità di aironi, garzette, anatre e gallinelle che i locali chiamavano "polette". La sera andammo a mangiare a Trino. Nel frattempo una leggera acquerugiola aveva inumidito l'asfalto; era spuntata, subito dopo, una bella luna piena. Durante il ritorno, con la strada tra le risaie, e fino a destinazione, non riuscivo a capire, perché ero sul sedile posteriore della vettura, lo strano rumore che veniva dall'asfalto, finché dal lunotto posteriore, al chiarore lunare, realizzai che stavamo schiacciando migliaia di rane di ogni dimensione! Così per tutti i chilometri che ci separavano dalla nostra meta. Il ricordo indelebile è dato dai segni dei penumatici che tracciavano solchi come sulla neve fresca. Un'esperienza che non dimenticherò mai.
La notte non dormii granché. All'alba ci trovammo nella corte, pronti per l'apertura. Ci fu però una sorpresa: il fratello della signora aveva portato con sè tre amici, diventando la compagnia un po' troppo numerosa. Disponevano, quei signori, di due cagnacci ringhiosi, di razze indefinibili che dissero essere bravi. La destinazione era un bosco molto fitto in riva al fiume Sesia. Passammo attraverso un pascolo con erba alta in cui era evidente lo stazionamento delle mucche, con fatte a profusione e tracce di calpestamento. I cani cominciarono a segnare la presenza di selvatici, ma non fermarono niente. Ero tesissimo e torturavo la mia doppietta nervosamente. Mio padre imbracciava la sua nuova Breda semiauto a cinque colpi, gli altri dei Franchi tutti calibro 12. Ci inoltrammo nel bosco e dopo pochi minuti, uno sparo, seguito dai richiami del nostro paesano, che affermava di aver di aver preso una lepre sul greto del fiume, mentre stava bevendo. Magnificava il tiro eccezionale eseguito con una cartuccia MB Tricolor e lo raggiunsi colà, contando i passi. Del selvatico però restava un po’ di pelo e una goccina di sangue. Delusione atroce! Nel folto del bosco, alla mia destra sento delle grida concitate: la legor, la legor (la lepre). In un attimo mi apparve, in piena velocità, l'orecchiona: d'istinto sparai mentre era coperta da una cunetta: grande spolverata di terra e secondo colpo perfetto per fermarla in pieno balzo. Emozionatissimo, tutti mi fecero i complimenti. Gioia che si trasformò in pianto dirotto nel constatare che era una femmina gravida prossima al parto. Mi consolarono tutti e me la misero a tracolla con un laccio di canapa. La portai per diverse ore, fino a sentirmi distrutto dalla fatica, ma sempre con il pensiero del misfatto compiuto involontariamente.
Uscimmo dal bosco, dove gli amici avevano padellato diversi fagiani, incarnierandone solo due e ripassammo nel medesimo prato del mattino, dove ora pascolavano placidamente una ventina di mucche. I cani diedero subito segni di presenza di selvatici, ma non riuscivano a venirne a capo. A rastrello coprivamo tutta la larghezza del pascolo. Ad un certo punto Paris eseguì una ferma statuaria, mentre gli altri due, gelosi, gli passarono davanti. Io ero l’ultimo a sinistra, inebetito dalla stanchezza. Si alzò una fagianona a candela, cercando rifugio nel bosco alle nostre spalle. Scarica di fucilate, tutte a vuoto! Arrivai io buon ultimo e con un colpo solo la fulminai, scansandomi all’ultimo per non riceverla in testa! Dire che i signori ci restarono male è semplicemente riduttivo, mentre mio padre era raggiante e orgoglioso.
Andai ancora a caccia in Piemonte per tanti anni con grandi soddisfazioni, ma quelle sono altre storie, tutte vissute con grande passione ed intensità.
Raul Formentini
Tratto dal libro
Racconti di Caccia, passioni, ricordi
Raccolta di racconti in ordine di iscrizione al 3° concorso letterario “Caccia, Passione e Ricordi”
A cura di: Federcaccia Toscana – Sezione Provinciale di Firenze