Tempo fa avevo uno zio di nome Domenico, che avevo affettuosamente soprannominato “Babbo Memo”: Babbo perché mi amava come una figlia, Memo perché era il diminutivo del suo nome.
E’ un puntino rosso il sole che lentamente si affaccia da dietro le montagne. Presto sarà giorno. C’è un bagliore chiaro, che lentamente accompagna le stelle a dormire. Preparo il fucile, lo carico e mi accuccio in ginocchio sull’erba, quasi a ringraziare Dio per l’opportunità di essere qui e per lo spettacolo che si aprirà di fronte ai miei occhi tra qualche minuto. Il cielo sfuma dall’azzurro su in alto fino al rosa più giù e poi una sfera colorata si alza lentamente tingendo di rosso fuoco l’orizzonte: come zaffiri splendenti appaiono da lontano le colline. Ondeggiano lentamente gli steli, son come esili ombre. Il vento leggero, che giunge da Est, mi porta il profumo della terra umida e dell’erba sotto di me. Mi abbasso ancora un po’ nell’attesa di veder volare qualcosa, ma rimango rapita dallo spettacolo di quest’alba, che dolcemente irrompe e mi lascio inondare dal calore del sole. .
Caro Babbo Memo, sono qua nei tuoi posti, quelli in cui venivi da giovane col babbo. Chi lo sa: magari ti sei fermato proprio qui, dove sono adesso io. Sai, quando prima il vento ha soffiato, ho avuto una strana sensazione. Qualcosa mi ha attraversato e, per un attimo, ho pensato potessi essere tu. Qualcuno non ci crede, io si. Io credo che in realtà le persone non se ne vadano mai completamente dalla nostra vita e che passioni come la caccia le facciano anzi rivivere intorno a noi e nel nostro cuore. Ti ricordi quando ti raccontavo le mie prime uscite alle allodole? Allora facevo solo il “cane da riporto”, poiché non avevo ancora preso il permesso. Venivo a trovarti e ti raccontavo con quanto più entusiasmo fossi capace tutto quello che mi accadeva. Ogni tanto facevo anche qualche foto col cellulare per renderti partecipe e condividere. Ti ricordi quella col fucile in mano? Che paura avevo. Se ci penso ora mi vien da ridere. Tu allora eri lì su quella poltrona, a stento riuscivi talvolta a camminare: non tralasciavi mai però di accompagnarmi alla porta e salutarmi con un bacio ed un sorriso di incoraggiamento. Lo sapevi Memo, tu lo sapevi: me lo avevi letto negli occhi. Adesso son qui ad ammirare l’alba, come facevi sicuramente tu. Sono in ginocchio col fucile nella mano sinistra e il calcio appoggiato sulla fodera ripiegata in tre, perché temo che l’umido intacchi il calcio. Anche di questo momento ho una foto sai? Me l’hanno scattata proprio qualche istante fa. A riguardarla bene, con l’effetto del sole dell’alba, sul viso e intorno, sembra un quadro. In effetti forse lo è e la pennellata più bella è la tua, è l’amore che mi hai lasciato e la passione che, anche tu, mi hai trasmesso. Non sono ancora tanto brava a sparare al volo, è difficile. Sono solo al secondo anno di permesso e mi arrabbio quando non riesco a fare centro, ma imparerò. Stanne sicuro. Non dimentico l’ultima volta che ti ho visto. Non eri più lucido, ma, quando dalla finestra dell’ospedale hai visto passare quel branchetto di piccioni domestici, ti sei come riacceso e con gli occhi che ti brillavano hai esclamato “quattro piccioni”. Sono state le ultime parole che ti ho sentito pronunciare. Non le ho più dimenticate. Mi sono rimaste dentro e così, un giorno, mentre osservavo un piccione sulla racchetta che, svolazzando, si è lasciato cadere giù, mi sono allungata in avanti con una naturalezza che ha sorpreso anche me. L’ho afferrato delicatamente e l’ho rimesso su, come fosse un gesto fatto altre mille volte. E’ stato lì che ho preso coscienza del fatto che il mio recuperare le prede degli altri e il mio alzarmi presto al mattino sussistono in realtà per un motivo. E’ stato in quel momento che si è accesa la scintilla che mi ha illuminato il cammino; e il primo fucile che ho smontato è stato il tuo. Imparerò. La strada è ancora lunga, ma in questo percorso ho incontrato finora cacciatori con la C maiuscola, che mi incoraggiano ogni volta che sbaglio. E che cavalieri Memo! .
Ho trovato un rispetto che altrove è difficile ricevere, perché per una donna non è mai facile affacciarsi a questo mondo. Io però Memo sono felice. Si, sono felice perché mi sono innamorata di questa vita fatta di notti a volte buie e nebbiose, fatta di cieli sereni e stelle cadenti; di sguardi che rincorrono i filari di girasoli rivolti ad oriente e che attendono l’aurora per riprendere a vivere. Mi piace, dopo aver piazzato il gioco alle allodole, aspettare il primo raggio di sole. Allora le stelle si spengono ad una ad una, come tante piccole luci del Presepe. Qualcuno mi osserva incuriosito, quando mi vede vestita mimetica. All’inizio quegli sguardi mi intimorivano, son sincera. Oggi vado a testa alta, ma non troppo, perché un vero cacciatore è un essere umile. Le mie amiche sorridono, ma cosa ci posso fare? Come beauty farm ho un appostamento; come luce dei gioielli la rugiada, che imperla i fili d’erba del campo. Il mio profumo preferito è quello del muschio intriso di pioggia, la mia musica preferita è il Vento del Nord, che scuote le foglie ai primi d’Ottobre. Il vestito che amo di più indossare è la mia tenuta verde, che per me è come un tenero abbraccio che mi segue ovunque io vada…oppure Memo sei proprio tu, che mi cingi le spalle quando il sole sorge. Aspetto la prossima alba. Aspetto di sentirti qui, vicino a me, ad insegnarmi come si fa a sparare senza fare padelle. Ciao Babbo Memo! La tua nipote cacciatrice.
Emanuela Lello
Tratto da RACCONTI DI CACCIA, PASSIONE E RICORDI
Raccolta di racconti in ordine di iscrizione al 3° concorso letterario “Caccia, Passione e Ricordi”
A cura di: Federcaccia Toscana – Sezione Provinciale di Firenze
[email protected] www.federcacciatoscana.it