L'uomo era solo nella notte, appostato fra i massi della spiaggia , dove qualche rara lingua di sabbia appariva quando per il gioco a nascondino della luna fra le nubi si creava nel succedersi delle notti, l'alternarsi dell'alta e della bassa marea. Il fucile, vecchia doppietta a cani esterni, era appoggiato ad un mucchio di canne che lo riparavano dal vento quando spirava a maestrale o a tramontana, e nelle notti di marzo, dopo il diciannove, si aspettavano, nell'inganno delle tenebre, gli uccelli di San Giuseppe.
Cacciatore e soldato nella prima guerra, era solo, terribilmente solo, senza un'anima con cui condividere momenti di vita e di caccia. Ed erano i tempi che correvano fra la prima e la seconda guerra mondiale. Com'è miserabile l'umana coscienza, per non essere stata sufficiente una prima, grande guerra, che di lì a poco, se ne scatenò un'altra, più terribile della prima e nutrita non solo di errori, ma di orrori. Don Serio era tornato al lavoro nei campi situati proprio a ridosso del suo appostamento. Era tristemente in silenzio, con nella mente la bisaccia di duri ricordi, ad aspettare le gambette, trampolieri che si sarebbero presentati lungo la spiaggia, soprattutto di notte, prima della fine di marzo. E sicuramente sarebbe stato un passo abbondante come ogni anno e ogni notte.
Sotto un pallido cielo di stelle senza luna, con appena quattro stampi di latta ad una dimensione, infilati fra pietre e sassi, nella direzione del vento che quasi sempre proveniva dal mare, fosse maestrale, tramontana o vento di levante. I combattenti chiamati anche gambette o gambettoni , detti anche trampolieri muti, si sarebbero posati fra gli stampi e Serio, cacciatore attento, avrebbe percepito le movenze delle ali e il correre fra il pietrisco. Premeva il grilletto solo quando era sicuro che alla fucilata ne sarebbero stati abbattuti un buon numero. E nel sacco di iuta riponeva le prede senza vita. Tirava avanti fino alle prime ore del mattino, soprattutto se il passo era iniziato nella notte fonda. Passavano anche le marzaiole che non amavano posarsi fra i chiari della battigia e Serio, poco abile nel tiro a volo, le lasciava andare. Nelle notti propizie i volatili si alternavano di continuo a posarsi fra quegli stampi. L'uomo cacciatore percepiva anche la voce del piviere dorato che gli ricordava il sibilo del proiettile nella trincea alpina che lo avrebbe potuto uccidere. Lui che non era nato fra i monti, ma nelle sconfinate terre del sud, e qui doveva e voleva ancora vivere.
Ma ora la caccia lo distraeva dal dolore del mondo e lo riempiva di vita. Non aveva richiami, né avrebbe saputo usarli; eppure qualche volta imitava con la stretta delle labbra il fischio flebile con cui interrogava, nel pauroso silenzio della trincea, l'amico di guerra. E a qual labile fischio spesso gli provenivano da ogni dove, gambette, pivieri, pettegole, pantane, chiurli, e così via. Ma erano soprattutto le gambette a presentarsi in abbondanza; mute nella vita, mute nella morte. Alle prime luci del mattino, don Serio dopo aver riempito il carniere, programmava, sbirciando l'orologio a taschino, la sua giornata di lavoro nei campi, dove sarebbe stato aiutato dal giovane figlio Antonio che preferiva dormire più che accompagnarsi al padre. Così l'antico milite e cacciatore trascorreva le notti dell'ultima decade di marzo di quel tempo lontano, quando non esistevano che poche leggi sulla caccia, e gli uomini veri si portavano dentro quelle scritte nella coscienza da Madre Natura. Gli uccelli di San Giuseppe abbondavano sulle spiagge del sud, in attesa di risalire verso le terre paleartiche dove avrebbero nidificato. Con quella selvaggina spesso arricchiva il desco dei poveri e dei bisognosi che a cavallo delle due guerre, abbondavano nel sud della nostra penisola.
Poi arrivarono le leggi venatorie che giustamente previdero il divieto della caccia notturna. Don Serio con più di novant'anni sulle spalle, smise sia di lavorare nei suoi orti che furono ereditati dal figlio Antonio, e sia di praticare l'arte di Diana. Ma la sua anima, ricca di esperienze di caccia e di vita, si aprì ai giovani che volevano seguirne la passione, e questi furono affascinati da quella voce narrante che se pur ricca di errori e incertezze, e spesso in versione dialettale, era voce maestra. E spiegò loro il dolore della guerra in trincea, dove aveva conosciuto il grande Ungaretti, e parlò loro anche di caccia nelle notti stellate e senza luna, di tanti e tanti uccelli che aveva visto sentito e abbattuto, i cui nomi scientifici delle volte gli erano sconosciuti. Negli ultimi anni della sua vita gli chiesi che ne pensasse dei giorni fissi stabiliti dalle leggi sulla caccia, e mi rispose semplicemente che chi deve stabilire quando e dove recarsi a caccia non deve farlo la legge, bensì il cacciatore. Don Serio non c'è più, ma mi pare di aver capito dal suo insegnamento che la caccia è un diritto naturale, come ha affermato anche lo stesso Leopardi, definendola passione secondo natura. E con pace di tutti.
Domenico Gadaleta