La Sassa è un piccolo paesino della Val di Cecina, arroccato su una collinetta che domina una distesa di pascoli e boschetti sparsi: un posto da beccacce. Non è difficile, incamminandosi lungo le sponde del piccolo torrentello che ne lambisce le pendici, imbattersi nelle orme delle loro zampette.
Sono rimasta estasiata la prima volta che ho visitato il luogo. Era un giorno di gennaio, freddo. Un ultimo giro ai piccioni. Indimenticabile. Adesso ho voluto tornare da sola seguendo il disegno che mi ero tracciato nella mente. Da sola, ma non ho paura. Nessuna paura di prendere l’autostrada di notte, perché ci sono le stelle a farmi compagnia e la mia passione innata, sfrenata per la caccia che mi conduce sempre dove vuole lei. Come al cuore, alla passione non si comanda.
Così via, risucchiata da un desiderio incontrollabile carico l’auto la sera precedente e alle tre del mattino sono in viaggio: autostrada direzione Livorno. Questa volta è novembre. Un bel tratto di provinciale, dopo l’uscita dal casello e finalmente quelle curve che mi ero fissata nella memoria che mi avrebbero portato a destinazione. Ma mi ricordo di un piccolo bar, lo trovo e mi fermo per fare colazione. Ha una piccola veranda fuori, mi siedo lì col mio cappuccino e la mia tanto amata pasta di riso e tengo d’occhio l’auto parcheggiata chiusa davanti a me.
Con la coda dell’occhio noto un gruppo di cacciatori appena arrivati, “ altro esame” mi sussurro dentro, ma lo so già: alzo lo sguardo e incontro i loro visi stupiti, accesi di sorpresa...ma soddisfatti, contenti. Il più anziano si avvicina. “Permette?” e mi tende la mano. “fresca di permesso? No, non direi. Una donna. Le mie congratulazioni.” E poi stringe il pugno sinistro e lo agita con determinazione in aria “bene, avanti così”.
Sorrido, con quanta più gioia posso, e lo ringrazio. In tutto il mio percorso, per adesso ancora breve, faccio sempre tesoro anche del più piccolo apprezzamento, non ne esistono di più sinceri.
Scambiamo qualche battuta su come stia andando la stagione, sugli ultimi regolamenti e sulle varie atc, poi ci salutiamo e do un arrivederci al resto del gruppo che intanto si era tenuto un po’ più indietro ad ascoltare in maniera molto discreta la nostra conversazione, resa vivace dal forte accento toscano, simpaticissimo, del signore. Risalgo, ancora più carica e riprendo il mio viaggio. Viaggio, si: ma viaggio dentro me stessa, dentro quella nuova persona che sono diventata dopo aver imbracciato il fucile la prima volta.
I fari illuminano la piazzola, parcheggio alla destra di un'altra auto di un cacciatore con cane, noto infatti la gabbia al suo interno. Ed eccolo il “la” di un inizio di giornata da cacciatore: il momento in cui giunti sul posto si apre la porta dell’auto. Ormai questo momento è diventato per me una pietra miliare, il momento in cui il profumo dell’aria ti investe, che è diverso in ogni luogo, come una carta di identità. Potresti portarlo bendato un cacciatore...dal profumo dell’aria riconoscerebbe il posto. Come affina i sensi l’attività venatoria, è incredibile. Tutto ti ingoia, profumi, suoni, rumori e canti e tu diventi parte essenziale di quel tutto. Ti senti vivo, ti trasformi e anche l’oscurità che hai intorno non ti fa paura perché lei fa parte di te e la passione come un faro ti spiana la strada e ti rende capace di affrontare anche le situazioni più difficili e invivibili.
Non esiste nulla in grado di fermarti ma tutto per trascinarti via. Il freddo, la nebbia non ti frenano, non ti frena la pioggerellina della sera precedente o il lampo in lontananza. Ti brucia dentro...sei cacciatore e preda stessa di madre natura che ti cattura con tutto il suo mistero.
Chiudo l’auto e mi avvio con fucile e torcia su per il sentiero che porta al prato. Mi aiuta una debole luna, che allunga le ombre dietro di me, come pennellate più scure, mentre lo scricchiolio dei rametti sotto i miei piedi è intervallato dal richiamo di qualche civetta e dal leggero sibilo del vento che di tanto in tanto avverto tra i capelli sotto il cappello. Mi lascio la sagoma del vecchio casale sulla destra e dopo un’altra manciata di metri in pendenza giungo sul posto. La torcia ormai spenta, il cielo ha già una sottile striscia rossa che gli fa da sfondo: è giunta l’aurora, il momento più bello perché è la rinascita. Il rituale ha luogo: il fucile fuori dal fodero e la mano che pesca nella cartuccera alla ricerca di una magnum, ci si accuccia in silenzio e si aspetta. Sussulto leggermente e trattengo il fiato, quando sento dei rumori provenire da dentro il boschetto. Un rumore troppo robusto per un volatile. Mi volto lentamente, oramai è giorno e, sorpresa, mi accorgo che dai rami un musetto nero assorto mi osserva, immobile. Ha due occhi nocciola e il nasino, bagnato dalla guazza, che luccica un po'. E’ un cane. Incuriosito si blocca sulle zampette anteriori e mi fissa quasi
volesse chiedermi di restare. “e tu chi sei?”. Non resiste, ci guardiamo negli occhi e poi lento si avvicina e si accuccia accanto. Allungo la mano e l'annusa, poi strisciando leggermente si fa ancora più vicino e posa il musetto tra le zampe anteriori, schiacciandosi a terra; par che chieda “posso restare? Me ne sto qui buono buono.” Più o meno avrà quattro o cinque anni. Non è di razza pura. Non si muove, sta immobile ruotando appena le pupille e alzando il sopracciglio a tratti.
“ma il tuo padrone dov'è?” Mi risponde rassegnato con un sospiro. Poi si alza e si siede accanto, spostando continuamente lo sguardo da me al cielo e dal cielo a me. Allungo la mano per accarezzarlo e infila il musetto dentro alla mia giacca. Mi arrendo di fronte a tanta tenerezza. Deve essersi allontanato per qualche strano motivo. La luce del mattino che avanza delinea i contorni del paesaggio intorno e da lontano appaiono prima sfuocate nella nebbia sottile, poi definite nei loro contorni, i primi branchi di piccioni. Non ho portato con me né giostre, né richiami, volutamente.
Stamani ho deciso di affidarmi alla sorte. E così tre colombi si distaccano dallo stormo e giungono in traiettoria, proprio sopra di me. Giù tutti e tre. Il cane, che nel frattempo si era fatto dritto sull'attenti, aspetta il mio segnale. Ad un cenno scatta al recupero e riporta. “bravo!”.
Gli occhi gli brillano vispi e soddisfatti. Si risiede, mentre carico di nuovo il fucile. La scena si ripete finché il carniere è quasi completo e deciso di fare ritorno. Ma rimane il dilemma: “di chi sei?”.
Raccolgo le mie cose e mi incammino. Il cane è alle mie spalle per un tratto di sentiero, poi mi supera. Avverto un fischio di richiamo e lui si blocca e si rimette a sedere, poi mi guarda sconsolato.
“Dai...ti stanno cercando, senti?” Allora si fa coraggio e riprendiamo. La sagoma di un cacciatore mi appare in fondo alla valle. Scendo dirigendomi verso di lui finché vicina lo saluto.
“Ciao. E' tuo il cane?” Il musetto nero di nuovo si siede tra lui e me.
“Ciao. Si, lo cercavo. Non è molto ubbidiente, capita che a caccia ogni tanto si allontani. Capita che avverta la traccia di qualche selvatico, soprattutto la lepre, ma di solito ritorna subito, stamani invece mi ha fatto preoccupare.”
“Era con me. Anzi, ha fatto anche dei recuperi. Da bravi cacciatori dovremmo dividere il carniere”esclamo sorridendo.
“Ma che scherzi? Non ci pensare nemmeno”, mi risponde con altrettanto sorriso.
E allora mi soffermo ad osservarlo, fingendomi discreta. L 'atteggiamento umile mi colpisce, dallo sguardo schivo traspare un po' di timidezza. Solo per un attimo alza il viso, che tiene quasi sempre fisso in basso, sul cane, è allora che la luce del sole gli attraversa gli occhi color miele che appaiono da sotto la visiera del cappello.
D'un tratto un frullo. Di scatto ci voltiamo entrambi in simultanea: due piccioni arrivano radenti le canne lungo il fosso mentre il cane sussulta e alza il muso verso l'alto. E' un attimo; un'occhiata d'intesa e simultaneamente imbracciamo il fucile. E non c'è bisogno di dirsi niente, intesa, empatia improvvisa: io giù quello a sinistra e lui quello a destra, mentre il cane non di distacca dalla traiettoria della caduta. Stavolta attende il cenno del padrone, solo allora parte e recupera felice le prede.
Ci riguardiamo entrambi riemersi dallo stupore dell'improvvisata.
“Bel tiro! Brava!". “Merito dell'intesa” penso. “Questione di dna” gli rispondo ad alta voce.
Mi si avvicina con la mano tesa e stringe la mia e da timido lo sguardo adesso è acceso e fiero e l'iride sfuma dal miele al verde. Ricambio con piacere la stretta; il viso illuminato da un sorriso soddisfatto e ne ripasso più volte i tratti per fissarli nella memoria. L'inizio di un'amicizia?
Lasciamo fare: sarà il tempo a raccontarlo.
Emanuela Lello