Sono cacciatore dagli anni 60 ed ho sempre vivace in me la passione per questa attività. Pratico diverse forme di caccia, dalla più tradizionale, quella col cane da penna alla selvaggina stanziale, fagiano, lepre e beccaccia, fino alla migratoria verso la quale ci sento un po’ di meno, ma non per questo nel periodo del passo tralascio alcune uscite a colombi e tordi.
Inoltre dal 1994 pratico la caccia di selezione agli ungulati; capriolo, daino, cervo, cervo dell’Appennino, muflone e dal 2014 anche il cinghiale.
Pertanto in quest’ampia panoramica di attività venatoria, aneddoti, ricordi e narrazioni di caccia sarebbero infiniti. Fra tutti però ce n’è uno che mi è rimasto impresso nella memoria più di altri, anche se non è prettamente legato ad un mio intervento di caccia. E’ un episodio che mi è capitato cacciando.
Correva l’anno 1982, era una cupa giornata di fine mese di ottobre, cominciava ad iniziare il periodo delle beccacce ed io mi trovavo a caccia col cane nel comune di Greve in Chianti, sulle alture di San Polo, quando il tempo minacciava pioggia e la giornata volgeva al termine, in una tagliata di bosco di un paio d’anni vidi Loi, il mio setter inglese, ad una cinquantina di metri da me puntato. Avvicinandomi mi accorsi che era una ferma un po’ strana, capii subito che non si trattava né di fagiano né di beccaccia e nemmeno di lepre. Infatti, osservando attentamente poco più avanti del cane, accanto ad una ceppaia di querce intravidi fra i cespugli un falchetto, risultato poi un ghibbio, fermo impettito verso il cane con ala e zampina destra alzate in atteggiamento di difesa. Capii subito che si trattava di un rapace ferito. Presi il cane per il collare e lo bloccai in modo che non lo abboccasse e piano piano riuscii ad afferrare il rapace. Aveva l’ala sinistra rotta e imbrattata di sangue ormai secco, quasi certamente ferito da una fucilata nei giorni precedenti. Questo animaletto inizialmente si dibatteva, mi beccava e mi graffiava con le sue difensive ben affilate, tanto che poi mi trovai le mani tutte insanguinate, dopo pochi istanti il ghibbio si calmò, anche perché probabilmente cominciava ad essere stremato. Io, meditai un attimo sul da farsi e dopo una brevissima riflessione avvertii il dovere di assistere il rapace. Lasciarlo lì sarebbe stata morte sicura ed io non me la sentivo di abbandonarlo. Pur sapendo che portandomelo appresso correvo il rischio, in caso di un controllo da parte delle autorità venatorie, di poter essere accusato di aver sparato io a questo rapace, verso il quale era ed è severamente vietata la caccia, ma consapevole di fare un’azione buona, non esitai ad avvolgere in un fazzoletto il falchetto, in modo da non danneggiare ulteriormente l’ala rotta e lo deposi in una tasca laterale della giacca che avevo in dosso, lasciandogli fuori la testa, e incurante di ogni conseguenza mi incamminai speditamente verso la macchina che mi avrebbe riportato a casa.
Giunto all’abitazione e rimesso il cane nel suo recinto, in tutta fretta sono salito in casa dove c’erano mia moglie e le nostre due mie figlie, una di dieci anni e l’altra di sei, tutte e tre devo dire molto sensibili verso gli animali non amavano molto la caccia, ma che tuttavia la rispettavano e la rispettano tutt’oggi che sono mogli e madri di famiglia, per cui vedendo questo falchetto rimasero “elettrizzate”, con uno sguardo incredulo verso di me di chiara disapprovazione, pensando che fossi stato io a sparargli. Quando poi ho raccontato loro come stavano le cose, l’indice di gradimento verso il babbo si è normalizzato e subito con me si sono prodigate ad accudirlo.
Dopo avergli bloccato l’ala rotta al petto con una fascia, l’abbiamo messo dentro alla gabbietta che usavamo per il gatto, non avendone altre. A questo punto il rapace, sia pure con aspetto guardingo e forse ancora spaventato appariva un po più tranquillo, come se stesse comprendendo che lo stavamo assistendo, tanto che rimanemmo sorpresi quando più tardi assistemmo alla sua cena. Difatti, tolto dalla gabbia e adagiato sul tavolo del tinello se ne stava buono, impettito e con movimenti svelti, precisi e sicuri, tipici dei rapaci, afferrava col becco i pezzetti di carne che le mie figlie gli passavano con un lungo stecchino di quelli da spiedini la ingozzava velocemente. Ne mangiò a volontà, probabilmente, ferito da qualche giorno, aveva fame.
Quella sera il rapace, pur per circostanze negative suo malgrado, fu il nostro gradito ospite, ed io mi resi conto, in veste di accanito e talvolta sanguinario cacciatore, di aver fatto una buona azione e allo stesso tempo di sentirmi con la coscienza a posto.
Naturalmente l’accoglienza in famiglia per il piccolo ghibbio non bastava, occorrevano delle cure adeguate ed io stavo pensando dove portarlo. Non disponendo di conoscenze in merito, contattai il mio veterinario di fiducia per avere un consiglio. Questo Dottore infatti mi indicò subito un suo collega che aveva l’ambulatorio a Firenze nel Viale Dè Amicis, il quale si occupava, insieme ad un altro veterinario di questi casi, ed avevano un centro di riabilitazione per i rapaci feriti nella vicina Calvana. La mattina del giorno seguente portai il falchetto in questo ambulatorio. Mentre attendevo il mio turno, nella saletta c’erano altre persone che incuriosite da ciò che avevo dentro la gabbietta si avvicinarono, quasi tutti complimentandosi per quanto stavo facendo. Fra queste una distinta signora di una certa età con un cagnolino in braccio, guardandomi, con voce piuttosto irritata esclamò: vede cosa sono capaci i cacciatori? Se questo falchetto non avesse trovato lei chissà quale brutta fine avrebbe fatto. Io senza scompormi dissi alla Signora che ero un cacciatore e raccontai la storia del Ghibbio, aggiungendo che non tutti i cacciatori sono uguali, anzi volli sottolineare all’Interlocutrice, che mostrava un’evidente avversione alla caccia, che la maggioranza dei cacciatori sono persone per bene e che il ferimento del falchetto poteva essere stato anche frutto di un errore, precisando altresì che se così non fosse stato, anche io mi sarei dissociato senza se e senza ma da l’ignoto cacciatore che gli aveva sparato, in quanto dovrebbe essere ben chiaro a tutti che a nessuna delle specie protette è consentito sparare, ed in particolar modo ai rapaci, i quali hanno un ruolo importantissimo nell’ecosistema.
Alla Signora non credo che siano bastate le mie parole a farle cambiare idea sulla caccia, tuttavia il suo tono cambiò e ricordo che parlammo a lungo di vari argomenti e quando ci siamo lasciati mi ha stretto la mano.
Il ghibbio lo lasciai a questo Dottore il quale, senza chiedermi una lira, mi assicurò che avrebbe provveduto quanto prima a portarlo al centro di riabilitazione.
A distanza di circa sei mesi, ricordo di aver ricontattato il veterinario che mi riferì che il rapace, curato e riabilitato, insieme ad altri era già stato rimesso in libertà. Una notizia bellissima che non poteva che gratificarmi. Inoltre, quando nel corso degli anni mi sono ritrovato a caccia sui monti del Chianti ed ho visto sorvolare sopra di me un falco, l’ho sempre osservato con particolare interesse, pensando che forse potesse essere quel falchetto riabilitato, che anni indietro, ferito, era riuscito a coinvolgere per le sue cure un’intera famiglia, la mia.
Questa esperienza fa parte dei miei ricordi ed avventure di caccia, che come già accennato, a distanza di decenni ce l’ho sempre viva nella memoria. Episodi del genere credo che facciano riflettere e rendere migliore il cacciatore, che oggi troppo spesso purtroppo, senza ragione, viene demonizzato. La caccia è una grande passione, talvolta purtroppo rende il cacciatore, involontariamente magari, un po’ spietato e non va bene. A mio avviso l’attività venatoria non è soddisfacente soltanto quando realizziamo un buon carniere, è altrettanto quando, pure con piccoli gesti, rendiamo un servizio positivo all’ambiente, alla fauna che lo popola e anche al futuro della caccia.
Marcello Rabatti
Tratto da RACCONTI DI CACCIA, PASSIONE E RICORDI Raccolta di racconti in ordine di iscrizione al 3° concorso letterario “Caccia, Passione e Ricordi” A cura di: Federcaccia Toscana – Sezione Provinciale di Firenze [email protected] www.federcacciatoscana.it