“La vicinanza con mio padre, il contatto con la natura. E l'attesa. Le cose che mi piacciono ancora adesso. Sono capace di stare ad aspettare l'arrivo di un'anatra per un giorno intero, nascosto con le gambe in acqua. Per un giorno intero.
In Argentina l'ho fatto tante di quelle volte che Peter e Chele ancora mi tengono il muso. Ma la cosa ancora meno importante, sia da bambino che da adulto, era la parte finale, lo sparo. Quello che mi piaceva era star lì ad aspettare, assorbire lo scenario, per poi guardare il cielo che pian piano trascolorava, e i richiami che iniziavano a cantare.
E' impressionante, vedere arrivare i primi uccelli che si posano: sono neri contro il cielo, e, quando piombano tra i rami, scompaiono, improvvisi, inghiottiti dall'oscurità. L'aria è pungente, le fronte scure. Senti l'odore sulfureo dei pallini. Io me ne stavo ranicchiato nel capanno e guardavo mio padre immobile, che a sua volta guardava fisso davanti a sé, quasi non respirava.
Finalmente qualcosa si posava e riconoscevo la sagoma attraverso i rami. Il cielo si faceva azzurrino, l'ombra nera si moveva, la si distingueva. Si poteva puntare, e fare fuoco.
Uscivo subito a cercare tra l'erba sotto l'albero. Ero un bambino, ero curioso. Mi sgomentava e mi attraeva insieme, cogliere quel trapasso vitale”.
Roberto Baggio
Tratto da Una porta nel cielo (Limina Edizioni)