Avevo sei anni quando,il giorno del mio compleanno, mio padre mi mise in mano un fuciletto Flobert calibro 9 e mi fece sparare ad un topo…gia’ morto. Da allora divenni l’ombra di mio padre durante le sue escursioni venatorie, finchè, a sedici anni non presi il primo, sospirato porto d’armi. Finì così quel periodo di terribile ansia, data dal terrore angosciante delle “guardie”, che mi attanagliava quando mio padre mi concedeva di vagare per la nostra campagna con il Flobert prima e con un mono colpo calibro 24 dopo. Finalmente acquistai sicurezza e serenità e quando fui promosso al terzo Liceo mi fu finalmente regalato un automatico Breda calibro 12. Cominciai allora, durante i periodi di vacanza, da Ferragosto al trenta di maggio, a scorrazzare per le campagne e soprattutto per le paludi, con qualsiasi tempo ed in qualsiasi orario: infatti la mia grande passione è sempre stata la caccia in palude.
Sono passati,da allora,cinqantadue anni.
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Arrivammo quella mattina, come al solito un’ora prima dell’alba, Giuseppe ed io. Parcheggiai la mia mitica 500 ai margini della grande palude, al buio, avendo avuto cura, come sempre, di spegnere i fari sei-settecento metri prima: la strada la conoscevamo a memoria. Scendemmo dall’auto, portandoci appresso fucili, cartucce, il sacco degli stampi, l’involto con il capanno ed i seggiolini. Il tempo era come doveva essere in quel periodo di marzo: vento di grecale, cielo limpido, freddo intenso. Caricataci in spalla ciascuno la sua parte di pesi, ci incamminammo alla tenue luce di una lampadina tascabile, puntata verso terra. Camminavamo svelti, con il vapore che usciva dalla bocca, facendo attenzione a dove mettevamo i piedi, seguendo una specie di sentiero nell’acqua, fra il falasco. Con un fruscio, seguito da un ripetuto rauco grido di protesta per essere stato disturbato, un airone si levò in volo. Il suo grido ripetuto si perse lontano, nel buio. Ad un tratto Giuseppe emise un’imprecazione smorzata e si fermò. Mi disse di far luce: una grossa anguilla gli era sgusciata fra i piedi. Si piegò a fatica e la prese con le mani guantate:l’anguilla gli sgusciava via, mentre lui freneticamente metteva in fretta una mano dopo l’altra: la scena era esilarante e si concluse con la fuga del pesce: non sembrava essere un inizio di giornata propizio! Riprendemmo il cammino ed arrivammo sul bordo della grande palude vera e propria. Ci demmo subito da fare aprendo i seggiolini e posandovi sopra i fucili, quindi al buio entrammo in acqua per sistemare la tesa degli stampi: all’epoca la maggior parte di questi era di sughero,con la testa di legno, costruiti e dipinti da noi. Pochissimi erano quelli allora avveniristici di plastica e venivano considerati un lusso. Gli stampi erano legati ad una cordicella lunga un paio di metri e con un cappio all’altra estremità,cui veniva legata una pietra. Ne avevamo sistemate un mucchio, in precedenza, di cui ci servivamo ogni giorno. Sistemata la tesa, passammo al capanno di tela di sacco e sottili pali di legno. Finalmente ci sedemmo e cominciò l’attesa. Il vento di terra era favorevole: le marzaiole, se fossero arrivate, sarebbero entrate in palude. Si sussurrava fra noi, facendo apprezzamenti sul tempo, pieni di speranza per la giornata. Nel cielo terso, sopra le nostre teste, risplendevano le stelle: cosi vividamente come in palude, le ho viste risplendere solo in montagna!
Finalmente un tenue chiarore si affacciò ad oriente. Caricammo i fucili e tacemmo, con tutti i sensi tesi, trepidanti, in attesa.
Poco dopo il sorgere del sole, infatti, tre marzaiole diedero al gioco e furono abbattute. Le recuperammo subito.
In fila indiana sfilarono lungo la spiaggia, distante tre-quattrocento metri, una decina di aironi grigi. Poi uno stormo di pittime: si sentiva, da lontano, il loro caratteristico verso pigolante.
Dopo un po’ fu la volta di un’aigrette, candida come la neve, chedopo aver fluttuato fra gli stampi con il suo volo elegante venne a posarsi a pochi metri da noi, maestosa, con il suo ciuffo spiovente, sulle esili zampe nere. Poi ci vide e gracchiando volò via.
Il sole ormai era abbastanza alto e si rifletteva sulla superficie dell’acqua. Il freddo si era attenuato.
Una gallinella, rapida, lasciandosi dietro una scia, si spostò da un gruppo di canne a destra, verso un altro a sinistra, passando con la sua andatura caratteristica fra gli stampi. Ovviamente non sparammo, temendo di spaventare eventuali anatre in arrivo.
Comparve lontano in mare un fischione, puntò verso la palude e varcò la spiaggia. Sembrò dirigersi verso gli stampi, poi cambiò idea e si posò a circa cento metri da noi, su una specie di minuscola isoletta emergente nella palude. Lo guardavamo trepidanti attraverso le feritoie del capanno: stava dritto, impettito, la testa rossa sfavillante sotto la luce del sole e si guardava intorno. Ad un tratto spiccò il volo, sembrò incerto sul da farsi, poi puntò dritto sugli stampi: sparammo insieme, un solo colpo a testa. Cadde un po’ lontano: il vento,che intanto era cambiato e con lui la corrente lo portò subito ad arenarsi sull’ isoletta dove prima si era posato.
Lontano si sentì una scarica di fucileria e dopo qualche minuto comparve una marzaiola, che si posò a circa trecento metri da noi. Giuseppe si mosse in quella direzione. Scomparve alla vista, fra le canne. Poi si sentì una fucilata e dopo pochi minuti ricomparve, tenendo la marzaiola in mano.
Aspettammo un po’, poi mi decisi ad andare per cercare di recuperare il fischione. Lasciai Giuseppe nel capanno e mi avventurai nell’acqua. Verso il punto dove si era arenato il fischione, l’acqua cominciava ad essere profonda e mi armai di una lunga canna ma, nonostante ciò, mi accorsi che non ce la facevo e feci cenno a Giuseppe di raggiungermi per darmi una mano. Quando arrivo’,gli tesi la canna, affinchè mi sostenesse e tenendone un’altra in mano mi sporsi fino a raccogliere la preda. Mentre raggiungevo la sponda, con il fischione in mano e commentando allegramente con l’amico l’accaduto, uno stormo di marzaiole, capeggiate da un singolo codone, improvvisamente varcò la spiaggia ed entrò in palude, dirigendosi sulla tesa degli stampi…lasciati soli e lontani!
Naturalmente ci appiattimmo dietro un folto ciuffo di canne, imprecando sommessamente, ma veementemente. Una quindicina di marzaiole, facendo il loro caratteristico verso, si posarono fra gli stampi, mentre il resto del gruppo, codone in testa,volava facendo evoluzioni fra il capanno e gli stampi. Ad un tratto quelle in volo, essendo il codone che le guidava molto più diffidente delle marzaiole, se ne tornarono in mare. Quelle posate poco dopo si alzarono in volo e per fortuna vennero verso di noi. Sparammo finalmente e ne abbattemmo sette.
E’ doveroso ricordare che all’epoca era consentito caricare il fucile con cinque (o anche sette ) colpi!
La corrente ulteriormente cambiata le portò dritte sulla sponda opposta e fu facile recuperarle.
Ora il sole era alto. Aveva cominciato a soffiare il ponente, come al solito a quell’ora, avvisandoci che ormai la mattinata di caccia era volta al termine. Raccogliemmo gli stampi, smontammo il capanno e ci avviammo verso l’auto: eravamo contenti ed anche se avevamo avuto l’occasione di realizzare un carniere piu’ consistente, commentavamo soddisfatti le vicende della mattinata.
Sistemammo tutto e partimmo, lasciandoci alle spalle la grande palude. Ci saremmo ritornati certamente il giorno dopo, come sempre, durante quelle vacanze pasquali.
***
Ora di quel posto meraviglioso non esiste piu’ niente: èstato tutto distrutto e dove una volta c’era la palude, ci sono alberghi, camping, spiagge, discoteche ed altre diavolerie.
Resta solo un terreno acquitrinoso ai margini di quella che era la grande palude.Mi ci reco costantemente, sostenuto dalla speranza che qualche selvatico si ricordi della vecchia rotta di migrazione. Il carniere è misero, ma l’alba in palude è sempre bellissima, intorno allo stagno c’è l’erica fiorita, come una volta, e il grido della gallinella che saluta l’alba non è cambiato.
Marcello Laviano
(Premiato come miglior racconto 3 sezione del concorso "Dal fucile al calamaio.... a caccia di ricordi" nel 2014, Caccia e dintorni)