Cristiano al compimento del dodicesimo anno d’età non ricevette in regalo una bicicletta o un paio di pattini, ma. una bellissima carabina calibro 22-250, completa di ottica! Perché Cristiano fin da piccolo aveva sempre accompagnato il papà a caccia nelle pianure, tra i boschi e sulle montagne ed un bel giorno si ritrovò con una vecchia doppietta tra le mani, proprio mentre una grossa lepre stava uscendo dal bosco.
Da quel momento la sua vita non fù più la stessa. Il ragazzino mantenne sempre un buon rendimento a scuola, riordinò puntualmente la sua cameretta, continuò a tirare calci al pallone e a giocare a figurine con i suoi coetanei, ma c’era sempre un’immagine scolpita nella sua mente e nel suo cuore che lo perseguitava: quella di una lepre che cadeva, centrata in pieno da una rosa di pallini. Il papà, vecchio ed esperto cacciatore quale era, vedendo la metamorfosi che stava subendo suo figlio, ebbe delle emozioni molto contrastanti.
Avrebbe dovuto assecondare l’innata passione che stava stregando il ragazzo (la stessa che tanti. anni addietro s’era impossessata di lui e prima ancora .di suo padre e di suo nonno), oppure doveva frenare quell’eccessivo entusiasmo? “Cacciatori si nasce, non si diventa”. Questo è un assioma inconfutabile. Possiamo allevare un lupo e tenerlo in giardino assieme a conigli ed agnelli, ma poi non ci stupiamo se un brutto giorno accade una piccola tragedia.
La passione per la caccia, o meglio l’istinto del cacciatore, deve essere innanzi tutto accettato, poi compreso e assecondato, perché è nella natura umana. Cristiano quell’istinto l’aveva nel DNA e visto che ormai s’era guadagnato con onore la sua prima, -prestigiosa preda, perché non poteva aspirare a catturare qualcos’altro? A undici armi, anche se madre natura l’aveva dotato di un fisico da adolescente, non poteva certo andare a caccia da solo, così il padre continuò a portarlo sempre con sé, anche quando decise di appostare il Re della macchia! La prima sera andò a vuoto, così pure la seconda e la terza, ma la quarta I cinghiali arrivarono che non ci si vedeva quasi più. Da dietro una murcia di sassi, dov’erano appostati padre e figlio, non si udiva un sol respiro.
Lo scaltro genitore aveva consigliato al giovane figlio di togliere la sicura alla doppietta appena. il sole sarebbe sceso “nel sacco” e quando vide il suo cucciolo d’uomo portarla alla spalla, gli occhi di divennero lucidi. Cristiano, per essere certo di non sbagliare, terrorizzato dalla paura di deludere il padre, appoggiò l’astina sopra ad una pietra, prese attentamente di mira un cinghiale poco discostato dal branco, chiuse un occhio (o forse tutti e due), trattenne il respiro e tirò il primo grilletto. Una palla Maremmana calibro 12 genera un rinculo violento, ma se Cristiano l’avverti non lo diede a vedere. Si voltò invece verso il padre con tante tacite domande negli occhi. L’ho sbagliato? L’ho preso? Spero di non averlo ferito. Il responso arrivò presto, con un sorriso ed una pacca sulle spalle. Un abbraccio o un bacio sarebbero state cose da femminucce. Il ragazzo aprì la doppietta, restituì al padre la cartuccia carica e mise in tasca il bossolo di quella sparata. Poi, con calma, raggiunsero insieme l’animale morto.
Cristiano o accarezzò, s’inebriò del suo odore forte e acre, controllò. dove lo avéva colpito è cércò anche di stimarne il peso. Con il padre si accordarono per cinquanta - sessanta chili, anche se l’animale non arrivava neanche a quarantacinque! Poi, emozionato ma sereno, s’inginocchiò per ricevere il “battesimo” che gli avrebbe fatto il padre, pronunciando delle frasi solenni mentre gli avrebbe tracciato dei segni su] viso con il sangue ancora caldo del suo primo cinghiale.
Semmai ci sarebbe stata una remotissima possibilità che Cristiano non diventasse un cacciatore,quella sera, dopo quell’episodio, era scemata per sempre. Quando hai già abbattuto un cinghiale ed una lepre, fai presto a prendere anche un fagiano, delle tortore, dei colombacci e qualche tordo; e sempre con la vecchia doppietta di tuo padre, che prima ancora era stata di tuo nonno. Ma gli avrebbero mai permesso di usare anche la carabina calibro 270? Quella americana con il cannocchiale lungo e nero che Cristiano ammirava ore ed ore attraverso il freddo vetro della rastrelliera? Il suo sogno si avverò un cupo e piovoso pomeriggio di fine inverno quando, sempre incollato alla giacca di fustagno del genitore, caricò zaino, binocolo e.. .carabina sul fuoristrada. Il ragazzo non sapeva né dove stavano andando né cosa speravano di. cacciare, sapeva soltanto che andavano nel bosco, tutto il resto non aveva importanza. Giunti in prossimità di un esteso prato incolto, il padre di Cristiano parcheggiò il fuoristrada, ed anche se non ce n’era assolutamente bisogno, si portò il. dito indice della mano destra sulla punta del naso.
Da quel momento in poi ogni rumore sarebbe stato sacrilego. Cristiano mise lo zaino in spalla, mentre il papà prese la 270 ed il binocolo. Camminarono furtivi lungo il confine. del bosco finché, quasi di scatto, il genitore s’immobilizzò. Alzò il binocolo, osservò un punto preciso. del prato per diversi secondi e poi lo passò al figlio sussurrandogli. “Le vedi laggiù quelle tre sagome scure? Sono caprioli. Quello più grosso a destra è un maschio. Non perderlo mai di vista”.
A Cristiano cominciarono a tremare le gambe, ma riuscì ugualmente a seguire il padre in una manovra d’avvicinamento. Procedevano piano, controllando dove mettevano i piedi e la direzione del vento, e quando raggiunsero un piccolo dosso si fermarono. I caprioli, apparentemente ignari del pericolo, distavano non più di cento — centoventi metri. Il padre si fece consegnare dal figlio lo zaino, lo mise a terra, ci adagiò delicatamente sopra la carabina e con un movimento al contempo fluido e silenzioso fece scorrere in canna una cartuccia dorata. A Cristiano batteva talmente forte il cuore che se ne vergognò. Ebbe quasi il sospetto che anche suo padre riuscisse a sentirlo, ma senza farsi incitare si posizionò dietro l’arma come gli era stato insegnato tempo prima.
La impugnò stretta, sistemò bene il calcio contro la spalla e prese a traguardare il maschio di capriolo direttamente attraverso le lenti del cannocchiale. “Non avere fretta. Sfiora il grilletto solo se il reticolo è nel punto giusto. Soltanto allora”, gli sussurrò suo padre alitandogli nell’orecchio sinistro. Passarono pochissimi istanti ed uno sparo ruppe il silenzio che regnava nel bosco. Spense una vita e ne segnò inesorabilmente un’altra.
Mario Benecchi
Concorrente al 18° Concorso Nazionale per Racconti di Caccia "Giugno del Cacciatore"