In una zona dove le poche starne rimaste stavano per essere definitivamente sfrattate dai fagiani, furono immessi per prova dei gruppi di versicolore e tenebrosi. Piccoli e veloci, stanno nel fitto e sono poco invasivi.
Un pomeriggio di fine settembre, a caccia senza aver trovato penna, un magnifico maschio si alza a colonna davanti al fucile di un nostro amico e casca, fulminato, dentro un macchione di spini, impraticabile anche per i vigili del fuoco.
I cani, richiamati dalla fucilata, girano attorno al fitto e proseguono. Con il sole al tramonto e un recupero così difficile, si presentò un problema, che il nostro amico decise comunque di risolvere. E’ la prima volta che mi capita un animale così, e non lo lascio davvero alle volpi.
Deciso, consegna cappello e fucile, si abbottona bene la giacca e comincia a entrare, lamentandosi del supplizio, fino al “lo vedo! E’ rimasto a mezz’aria”. Poi, all’improvviso, comincia a lamentarsi e a urlare di dolore; esce a strappamacchia, coperto di vespe, già gonfio il collo e le mani. Per fortuna una delle macchine era vicina, e anche l’ospedale. Ricoverato d’urgenza, e messo in sicurezza, venne a toglierci la paura un infermiere, anche lui amico e cacciatore. Abituato a sdrammatizzare per professione e per carattere, ci disse che “era andata bene anche senza i gruccioni”, aggiungendo la spiegazione.
Aveva letto da qualche parte di un cercatore di funghi che, appoggiata inavvertitamente una mano su un favo di vespe, era stato assalito da uno sciame e riempito di dolorosissime punture. Da solo, lontano da chi poteva aiutarlo, si rende conto del pericolo e si butta a terra cercando di coprirsi.
Poi, quasi di colpo, il ronzio da incubo diminuisce, apre gli occhi e pensa a un miracolo. Un volo di coloratissimi gruccioni banchettavano con le poche vespe rimaste. Tutte le altre letteralmente sparite.
Immancabile, conoscendolo, la spiritosaggine dell’amico - cacciatore - infermiere per l’occasione messa anche in rima: “Scommetto che voi bravoni non conoscete i gruccioni”.
Nel frattempo, saputo dell’incidente era arrivato anche Beppe. Il più anziano di noi ascolta, si avvia verso l’uscita e commenta, “Si possono chiamare anche vespieri. Hanno il becco lungo e aguzzo, dei bei colori e si nutrono di insetti”.
Se ne va, stancamente, senza salutare e il perchè, purtroppo, non l’abbiamo mai saputo.
Mario Biagioni