Si presentò poco dopo il sorgere del sole al volante di una scintillante spider rossa, con al fianco un’appariscente ragazza bionda. Nell’intercapedine posteriore un elegante setter irlandese nascondeva, parzialmente, il luccicante fucile semiautomatico a cinque colpi. A quella vista Giovanni apparve molto perplesso. Conosceva Sergio da tanto tempo, fin dai tempi delle scuole medie, quando sedevano vicini di banco. Già allora era un tipo piuttosto particolare. Dal padre aveva ereditato una certa “puzza sotto il naso” per tutto ciò che lo circondava. Di famiglia benestante amava rimarcare, con i compagni, questa supposta superiorità. Vestiva sempre di marca ed il suo portafoglio appariva, in ogni circostanza, ben rigonfio. Al luna — park poteva permettersi molti più giri degli altri in autoscontro ed il suo album delle figurine era il primo ad essere completato.
Conseguito il diploma di terza media le strade dei due ragazzini si erano separate: Giovanni iniziò a lavorare nella falegnameria del padre, mentre Sergio si trasferì in città, da dove tornò, solo una quindicina di anni dopo, con un’inutile laurea in filosofia. Non era, infatti, sua aspirazione l’insegnamento, tanto più che il patrimonio famigliare sembrava garantire a lui, ed ai suoi eredi, un’esistenza molto più che decorosa e senza troppo faticare. Solo alla soglia dei cinquant’anni aveva deciso di farsi la licenza di caccia. Fu in quel momento che riallacciò l’amicizia con Giovanni, che, invece, fin da ragazzino, aveva seguito lo zio tra le colline lungo il Piave, alla ricerca delle regine del bosco.
E quella mattina Sergio era arrivato alla casa dell’amico proprio con l’intenzione di partecipare ad una battuta alla beccaccia. Nulla da obiettare sul fucile, passi il setter irlandese, si facesse pure accompagnare dalla vistosa ragazza bionda, ma quella spider rossa Giovanni proprio non riusciva a digerirla. “Non potrai mai arrivare alla radura “del gatto nero”— ripeteva. — La stradina è troppo dissestata; meglio che saliate sulla mia vecchia jeep.” Non ci fu nulla da fare. L’inesperto cacciatore e superbo pilota non volle rinunciare al suo sportivo mezzo di locomozione. “La mia spider — ribatteva — non avrà nessun problema. E’ leggera, dotata di ottimi ammortizzatori e con la potenza del motore sarà in grado di superare ogni dislivello.” Nessun dubbio nemmeno sull’affidabilità del suo elegante setter irlandese. “Ha le stesse caratteristiche della spider— rinfacciava all’amico - e darà la birra al tuo bracco. Al ritorno, la mia bella compagna conterà le beccacce: le mie supereranno le tue di almeno tre volte.”
Ciò detto salì sul duetto e partì sgommando, seguito, a distanza, da Giovanni che si era messo alla guida della vecchia jeep di famiglia.
Dopo un paio di chilometri asfaltati gli amici imboccarono un viottolo sterrato, costeggiato da boschi di faggi ed aceri. Percorse alcune centinaia di metri la carrareccia iniziava a restringersi ed a inerpicarsi. Era un continuo susseguirsi di curve e di piccoli tornanti. Non esisteva la protezione del guard rail, ma non c’era nemmeno il pericolo di precipitare a valle: una folta siepe di arbusti ed alberi avrebbe ben presto fermato una malaugurata, ma nemmeno troppo improbabile, uscita di strada. Di tanto in tanto, la salita si alternava a brevi tratti pianeggianti ed a qualche ripida discesa. Più avanzavano, più il viottolo si faceva sassoso. Anche le buche diventavano più profonde, come pure i dislivelli creati dalle piccole frane dovute alle copiose piogge estive. Avanzavano a passo d’uomo ed in più di un’occasione il fondo della spider aveva, pericolosamente, grattato il terreno.
Ormai mancava poco più di un chilometro all’agognata radura chiamata “del gatto nero” dove, finalmente, avrebbero potuto parcheggiare le automobili e liberare i sempre più impazienti cani. Era la mattina del 31 ottobre 1971 e da nord — est soffiava forte il gelido vento di bora, premonitore di una consistente presenza di beccacce. I due amici, pur concentrati nella difficile guida, pregustavano le ferme dei rispettivi ausiliari.
Ma il contrattempo, che Giovanni aveva profetizzato, arrivò puntuale. In un tratto di salita, che precedeva una discesa, la ruota anteriore sinistra della spider finì in una buca, mentre il fondo dell’autovettura andava ad incastrarsi su un grossa pietra rialzata. Sergio prima imprecò, poi, tentò di compiere, senza successo, alcune manovre. Niente da fare; il motore andava a mille, ma le ruote giravano a vuoto e la macchina non si spostava di un centimetro. Destino volle che, in quel momento, passassero di li tre contadini del posto. Una breve consultazione e la decisione fu presto presa. Dalla spider furono fatti scendere l’avvenente ragazza, che cominciava a dare evidenti segni di irritazione, ed il più tranquillo setter irlandese. “Con minor peso a bordo, il fondo della macchina non dovrebbe più toccare la pietra — sostenne uno dei soccorritori. — e con una bella spinta riusciremo a fare uscire la ruota dalla buca.” Tutti si portarono sul retro della spider, mentre Sergio si piazzava, di fianco, all’altezza del posto del guidatore. Con la mano sinistra spingeva, mentre con la destra, attraverso il finestrino aperto, teneva il volante. La difficile operazione ebbe un successo parziale, che si trasformò in un mezzo disastro.
Con enorme fatica, l’autovettura fu fatta, effettivamente, uscire dalla buca e spinta fino al colmo della carrareccia, che precedeva la discesa. Sarà stato per la forza di inerzia, o per quella di gravità o per l’errato calcolo di qualcuno, ma qualche cosa andò storto. La spider non si fermò sul colmo e, presa la discesa, proseguì la corsa, prendendo sempre più velocità. Sergio, stremato dallo spingere precedente, non fu lesto a rimettersi alla guida per, poi, tirare il freno a mano.
E così la spider, senza persone ed animali a bordo, divenne ingovernabile. Ai presenti, imponenti, non rimase che aspettare gli eventi. Dopo una trentina di metri la stradina deviava leggermente verso destra. L’auto, inevitabilmente, cominciò ad uscire dalla carreggiata costeggiata da arbusti ed alberi di ogni tipo. Man mano che procedeva, le ramaglie più sottili, al contatto con la carrozzeria, si frantumavano, schizzando in mille pezzi verso il cielo, dopo avere lasciato il loro marchio indelebile sulla scintillante carrozzeria. Fu così che la folle corsa della spider rossa finì, ingloriosamente, contro il tronco di una quercia secolare.
Poco dopo il tramonto, mentre Giovanni contava soddisfatto le sue beccacce, Sergio, armato di calcolatrice, ma senza la prosperosa ragazza bionda, verificava il salatissimo preventivo stilato dal carrozziere del paese.
Alvise Tommaseo
Concorrente al 18° Concorso Nazionale per Racconti di Caccia "Giugno del Cacciatore"