Trentuno gennaio, ultimo giorno di caccia che coincide anche con l’ultimo sgambo in Laguna. Ho con me il vecchietto, quasi undici anni, un po’ sordo, un po’ cieco ma sempre abbastanza in forma per reggere qualche ora a sfangare. L’ho portato poco quest’anno, privilegiando i due spinoni più giovani, per non affaticarlo troppo; ora gli devo quest’ultima uscita perché non credo che il prossimo anno sarà in grado di reggere ancora la fatica del padule.
Dal mio diario posso leggere il carniere di quel giorno della mia squadretta ma non ricordo come andò la giornata per me, forse un frullino e un porciglione. Ricordo però le alzavole che ci sorvolavano da ogni parte rimettendosi saettanti nelle piscine tra le salicornie facendosi arrivare a tiro con i cani ... ma quell’anno il solito ricorso sul calendario aveva prodotto l’assurda interpretazione di levare 15 giorni di caccia alle specie oggetto di pre-apertura... quindi alzavola e germano chiusi e ovviamente vigilanza a controllare...
Sul tardo pomeriggio nuvoloni minacciosi si chiusero sopra di noi anticipando la fine del giorno. Athos aveva finito le ultime energie e mi guardava, inutile insistere a cercar porciglioni smaliziati che avrebbero avuto necessità di ben altro dinamismo. Mi diressi verso l’ultima piscina vicino al confine con lui a trotterellarmi poco avanti, magari qualche uccello in anticipo sul rientro serale mi avrebbe concesso l’ultimo tiro della stagione. Cominciava a piovigginare, si intuiva il sole scendere velocemente verso il mare, tra le nubi nere filtrava un po' di arancio e di oro del tramonto.
Fu un attimo, quattro uccelli mi arrivarono da dietro, bassi, veloci, decisi, puntarono l’ultima piscina dove ero diretto e con una veloce sterzata si buttarono alla pastura. Non li avevo riconosciuti ma non erano ne alzavole ne germani, mezzani di sicuro. Guardai l’orologio, avevo ancora dieci minuti. Chiamai sottovoce il cane, che docilmente si mise al mio fianco, mi feci più piccolo possibile per sparire fra le alte erbe ma non fu abbastanza.
Quando mi affacciai semi imbracciato alla piscina invece del frullo con i colli tesi verso l’alto, mi accolse l’acqua immobile, brunita dalle ultime luci del giorno. Avevano quindi sospettato qualcosa e non li avevo visti andar via attento com’ero a rimaner basso tra le erbe e a non farmi l’ultimo bagno della stagione? Non c’era altra spiegazione.
Niente da fare, andata; stavo mettendo mano al carello per scaricare per l'ultima volta, con la malinconia di un'altra stagione finita, quando l’occhio sinistro percepì qualcosa, girai la testa d’istinto e me li ritrovai lì, in planata, quattro mestoloni. Erano tornati indietro e non mi avevano visto, immobile com’ero contro lo scuro del macchione di rovi che avevo poco dietro. Ma mi videro allora mentre mi muovevo. Si dettero su rapidi.
Il più vicino, un maschio bellissimo, una pennellata di colore contro le nubi nere nelle ultime luci del crepuscolo, come uno dei miei quadri preferiti di Lemmi. Sparai d’istinto un colpo solo mentre si allontanava e l’ebbi.
Athos me lo riporto convinto; l’ultimo mestolone della stagione, l’ultimo mestolone di Athos.
Alfonso Lenzoni
Tratto dal libro Di Paduli e di Lagune, racconti minimi di caccia agli acquatici (Vedi recensione)