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Racconti

La ballata di Juan Carrito


venerdì 3 marzo 2023
    
Erano i tempi in cui…
Nessuno vi chiamava “Juan Carrito”
Perché eravate solo ombre tra gli alberi
O macchie vive sui pascoli vuoti
Dove vivevate nascosti
Schivi della luce e dell’uomo
Nelle solitudini dei monti
Tra foreste e pascoli fervidi di vita
Scarso il turismo dei curiosi
Floridi i “coppi” e gli stazzi di pecore belanti.
Era il vostro mondo
Antico e selvaggio da tempi immemori:
Orso marsicano solo per pochi.

Infine nascesti tu, non ancora Juan Carrito
E i tuoi discussi fratelli e sorelle
Che quel mondo non conoscevate
Perché vi è stato negato
“Educati” dalla vostra madre
Anche lei non più femmina d’orso marsicano
Ma “Amarena”
Perché ormai corrotta e malata d’uomo.
Così anche voi l’avete seguita nelle strade
Nelle piazze e nei pollai
E tu, poi, finanche sui campi di neve
Tra bidoni di immondizia e turisti noiosi.

Diveniste famosi
Ed imparaste a non temere l’uomo.
Tu e i tuoi tre fratelli e la tua mamma
Tu, ancora senza un nome.

Poi ti chiamarono Juan Carrito…
Un nome d’uomo per onorare un uomo!
Che chissà se lo meritava…
E così ti infastidirono per loro soddisfazione
Per la gioia di quelli che dicevano di amarti
Ma che non capivano i tuoi bisogni
…E fu la tua rovina!

Divenisti il “bambolotto vivente” di tanti
Il Teddy Bear de Noantri!
Non già l’affettuoso urzacchie d’altri tempi
E d’altra gente
Più rispettosa, nella loro indifferenza
Ma Juan Carrito: per sentirsi moderni e globali
Gente che pensava solo a monitorarvi
Perché così riempivano pagine di dati
Diagrammi e rapporti
Dove la fantasia… non esisteva
Ma i giochi della mistificazione certamente sì.

Non conoscesti mai il piombo dei fucili
Che tanti asserivano fosse la tua minaccia
Ma ti infastidirono con palle di gomma
Per allontanarti dal cibo che tanto desideravi
E che loro avevano chiuso in recinti e gabbie
Che respingevano i tuoi assalti.
Perché i “sacri testi” riportano scritto
Che il vostro cibo naturale non era quello:
Cicoria, ramno, mele selvatiche, bacche e fragole
Avreste dovuto cercare
Non quello dell’uomo agricoltore e pastore
Dopo che più nessuno coltivava ai bordi dei boschi
I fruscianti campi di mais, grano e lupinella
E non portavano più gli armenti sui pascoli
Impediti dal tempo
…ma anche da sconsideratezza.

E fu così che Amarena si rivolse all’uomo cittadino
Perché per lei gli uomini erano tutti uguali
E dove vivevano loro c’era il cibo che voi cercavate
Prima quello dell’agro nascosto nelle stalle
Poi la carne nei pollai e nelle conigliere
Cibo che fin dall’infanzia ti fece scoprire
Quel cibo che poi avresti cercato per il resto della tua vita
Perché era l’unico che conoscevi
Che mamma Amarena ti aveva educato a trovare
Nelle case dell’uomo o attorno ad esse.

Ma presto la vostra presenza suscitò paure
E così dissero alla gente di non temervi
Come già lo dissero per Gemma
E per tanti altri tuoi “fratelli” di specie
Per farvi accettare tra le case e nelle vie
“Problematici” e “Confidenti”.
L’uomo, avrebbe dovuto abituarsi a convivere
Come facesti tu con loro, educato da tua madre
E non già protestare per le vostre intrusioni
Sempre più usuali, tra un stalla, un pollaio, una fontana
Finanche dentro le abitazioni, alcuni.
Così voi conviveste lungo le strade e nei paesi.

Infine cresceste e vi disperdeste, e tu rimanesti solo.
Ma divenisti un problema.

Allora ti catturarono
E ti munirono di un radiocollare
Per capire dove andavi e cosa facevi
Un collare che “parlava” loro: ma tu non lo sapevi
Per impedire, dicevano …quello che sarebbe successo.
Giocavano col computer triangolando
Per seguirti ogni giorno, ora e momento
Finanche sangue e pelo di tolsero per i loro studi.
Piantarono anche tabelle e diffusero proclami
Ovunque, belle a vedersi per i turisti
Per dire alla gente che avevi il diritto
Tu e i tuoi compagni di specie
Di attraversare quelle strade
E che loro, dovevano stare attenti, non voi
Non tu.
Né sono serviti i misteriosi dissuasori
Perché oltre le strade sapevi che c’era il cibo
E comunque le frequentavi come sentieri
Sentieri d’uomo che guidavano alle sue case
Ma non servì a nulla.

Così le auto continuarono a correre
E tu hai continuano ad attraversarle
Perché così andava la vita, loro e la tua.
Loro ansiosi di visitare il tuo regno
Per un diritto che però non era più il tuo
Tu a cercare il loro cibo tra l’immondizia.
Così decisero di insegnarti a vivere
A dimenticare paesi e strade, pollai e spazzatura.

Un problema vivente divenisti
Per la tua insistenza: problematico e confidente
E nuovamente di catturarono e sedarono.
Tu non ti accorgesti del tornado della grande elica
Né sentisti il rombo del motore
Quando ti portarono in volo in un luogo di gente
Per educarti
In un recinto …a conoscere le foreste e i pascoli!
Che non frequentavi più quando eri libero
Ad insegnarti a vivere quel mondo
Che non avevi mai veramente conosciuto.
Alchimie, espedienti e manipolazioni
E, fuori, conferenze e altisonanti comunicati
Poi di nuovo in volo verso i monti
Dove ti abbandonarono, tu libero
Sui campi di neve dell’Aremogna
Dove, frastornato, ti perdesti per qualche tempo
Per poi tornare di nuovo alle case
E alle vie e piazza di Scanno e Roccaraso
E ai pollai di Carrito e Collarmele.
Gli unici luoghi dove sapevi di trovare cibo.

Passarono gli anni, pochi per un giovane orso
Vennero le stagioni del silenzio bianco
Ma quando tocco a te sceglierti un luogo
Lo hai dimenticato… o la fame ti ha spinto a farlo
E allora riprendesti il tuo vagare
Ancora in fuga come gli altri
Che oggi “vivono meglio fuori dal Parco”
Mentre il diritto alle “ciaspolate” umane imperava.
I rifugi per l’uomo hanno preso il posto dei tuoi
Finanche alle “porte” delle vostre tane!
E nelle foreste vetuste che furono vostre
Ma che voi pian piano avete abbandonato
Per scendere alle pianure e alle case dell’uomo
A “vivere meglio fuori dal Parco”
Così da incentivare altri Parchi… e altri problemi!
Da dove poi farvi fuggire per l’ingordigia turistica.

Di paese in paese
Attraversando strade
Per te ormai usuali, luoghi liberi dalla neve
Quando l’autunno lasciò il posto all’inverno
Vagasti.
Tanti sapevano che lì stava il pericolo
Anche i tuoi “custodi” per diritto/dovere di legge.
Qualcuno aveva anche previsto il fato
Lo aveva anticipato solo con saggezza e logica
Che su una di quelle strade saresti rimasto
Un giorno: lentamente, scemando l’ultimo alito
Come infine successe, nel freddo di una notte.
Ma nulla avevano fatto per tenertene lontano.
Volevano che tu te ne allontanassi
Che tu rientrassi nel tuo mondo selvaggio
Che loro ti avevano di fatto negato
Rendendolo inospitale
E invece ritornasti ai paesi, alle vie e ai bidoni
Elemosinante barbone animale
Ai pollai e conigliere chiuse ai tuoi artigli.
La neve e il freddo non li temevi
Perché il cibo era la vita, non solo il sonno
Ecco perché fosti là quella sera
Dove non avresti dovuto stare
Perché non una tana nascosta sui monti
Dove già i tuoi fratelli dormivano
Il lungo sonno della vostra specie
Stavi cercando
Quando scendesti su quella strada
Forse, dimentico dei ritmi della tua specie
O perché anelavi solo cibo
Per quella cattiva educazione infantile
…o solo per la maledetta fame!
E così successe quello che non doveva succedere…
E infine rimanesti là, nel gelo della notte
Illuminato dai fari che esaltarono l’ultimo tuo alito
Che il freddo di gennaio “dipinse” sull’asfalto
E non ti rialzasti più, finendo là il tuo errare.

“Juan Carrito è morto!”
Rimbalzò la frase di smartphone in smartphone
Facebook, Instagram e WhatsApp
Finanche oltre i confini e oltre l’oceano
Uno grido diffusosi per il mondo intero
Quel mondo di chi per anni seppe dire solo che ti amava!
Come se fosse stato sufficiente per salvarti!

Poi… inutili uomini ansiosi e speranzosi
Quei tanti che oggi ti amano ancora
Tardivi sono scesi anche loro sulle strade
Ma non per protestare per gli errori commessi…
Ancora una volta
Solo con vane fiaccolate per ricordarti…
Un monumento
E murales in tua memoria hanno dipinto
Vane parole e, domani, targhe e convegni in tuo nome
Come già fu per Bernardo
E quelli che lo precedettero
Da Sandrino a Yoga a Morena, a …Mario e…
E poi pagine e pagine
Su di te e suoi tuoi “mali”: vane polemiche
Sulle tue ferite supposte, vere e negate.
Ma nessuno che ti curasse quella intestina
Quella spasmodica ricerca di un cibo
A cui ti eri abituato
Illuso che altro cibo non vi fosse
Perché non lo avevi mai conosciuto
Perché impedendolo e negandolo
Finirono per negarlo anche a te
Perché Amarena stessa non trovandolo più
Aveva smesso di cercarlo sul bordo dei boschi
Campi di mais e pecore di un tempo andato.
Amarena, incolpevole pessima mamma malata d’uomo!
Eppure era il cibo dei tuoi antenati.

Loro sì, indisturbati e indipendenti
All’ombra dei faggi vetusti
Di foreste poi “vendute” al turismo
Fingendone la protezione.
Quel turismo che ancora non imperversava
E che sarebbe esploso come un cancro
Mai voluto curare da alcuno
Come la malsana orsofilia ancora di là da venire.
Sì, liberi di vivere nelle foreste e sui pascoli
Dove solo le grida di pastori ascoltavano
E il battere di accette e il cozzo degli zoccoli dei muli
Tempi e luoghi di un’epoca ormai passata
Dove nessuno li disturbava…
Liberi…perché nessuno li “amava”.

Sì, ti hanno amato, Juan Carrito
E così ti hanno portato a morire!
E poi hanno incenerito le tue spoglie
Affinché qualcosa restasse ancora di te
Da far ammirare a chi ti aveva amato…
A chi verrà a cercare di te ciò che ne è rimasto:
Chissà che il tuo nome Juan Carrito
Non finisca anche su sale museali, bar e ristoranti!
Sarebbe l’insulto peggiore
Se lo scopo dovesse essere il mercimonio!

Ti conoscevano e ti amavano in tanti
Ma forse in pochi ti hanno veramente capito
Quelli felici solo di saperti vivo
Speranzosi che sui monti ritornassi
Per la gioia di saperti ritornato selvaggio.
Non per venirti a cercare e così soddisfare il loro ego
Quando l’orsofilia di tanti
Finì per prendere il sopravvento
Lungo i “sentieri” della tua gente.

Gli altri… tenaci nei loro errori
E per nascondere le loro colpe
Mistificando e mentendo, neppure perdono
Per le loro colpe hanno chiesto…
Scatenandosi contro l’incolpevole artefice
Di un urto nella notte
Che né Juan Carrito né chi guidava la “bestia meccanica”
Citato in tribunale al posto loro!
Per la loro inerzia, inefficienza, e il loro silenzio
Colpevoli del reato di ignavia
E di acquiescenza di fronte al potere!

La tua mamma lontana, i tuoi fratelli spariti
Qualcuno spera, tornati ai monti
Non più schiavi dell’uomo e per questo salvi.

Ti hanno chiamato Juan Carrito
Ma eri solo un povero orso marsicano che aveva fame!

 
 
Franco Zunino

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