Il mio era un paese molto piccolo, Cà di Lugo, provincia di Ravenna. Un sabato sera si fece una gran festa, tra amici e conoscenti. Si mangiò, si ballò, si cantò, tuffi in dolce allegria. La serata fu bella e divertente.
La domenica mattina avevo deciso di andare a caccia in località “cippo di Anita Garibaldi”, a circa 30 Km di distanza. La festa finì all’una di notte, non avendo per niente sonno, pensai di partire subito per raggiungere il posto di caccia a due Km dalla foce del fiume Reno. Sulla sponda destra del, fiume c’erano dei bilancioni per la pesca, molto grandi. Di uno di questi conoscevo bene il proprietario e, siccome ero in anticipo, pensai di fermarmi per aiutarlo nella pesca. Insieme a lui, trovai altre tre persone in abbigliamento da cacciatore. Erano persone che non conoscevo, mi fermai a chiacchierare con loro, quando spiegai il motivo del mio arrivo, mi offrirono pesce fritto e un bicchiere di buon vino così facemmo amicizia.
Anche loro erano lì per cacciare. Sulla sponda sinistra del Reno c’era una grande riserva di caccia privata del Sig. Orso Mangelli, ricca di selvaggina e poco sorvegliata. Avevano in mente di tentare una caccia notturna in quella riserva e poiché io avevo Tosca una brava cagnetta che fermava molto bene, mi chiesero di unirmi a loro, Il pescatore ci prestò la barca per attraversare il fiume, era una notte di luna piena, tutto era tranquillo, il posto era isolato e solitario.
Incominciammo a cacciare a rastrello: quando Tosca fermava, un cacciatore alzava il fagiano e, poiché ero abituato a sparare di notte alle anatre in botte, mi lasciarono la precedenza al primo colpo. Sparammo senza economia, come se la riserva fosse nostra, tranquilli, senza alcuna paura, catturammo 16 fagiani. Ad un certo punto decidemmo di tornare verso la barca per riattraversare il fiume. Per arrivare alla barca, bisognava prima salire sull’argine del fiume alto circa due metri. Eravamo tuffi in fila indiana, io ero l’ultimo. Quando il primo, che era anche il più anziano del gruppo, arrivò sull’argine, ci trovammo con due pistole puntate e una voce gridò:” Alto là, siamo le guardie”.
Di scatto facemmo tuffi un “dietro front” rapidissimo e ci mettemmo a correre sparpagliandoci. Si udirono alcuni colpi di pistola mentre scappavamo veloci verso l’interno della riserva. In breve mi ritrovai a correre da solo con una gran paura addosso.
Mi buttai in un fossato, tuffo rannicchiato, con la cagnetta in mezzo alle gambe. Pensieri cupi cominciarono a turbinare nella mia mente. Forse mi avrebbero inseguito, ero solo, conoscevo poco la zona, non potevo cercare i compagni per non èssere scoperto, dovevo riattraversare il fiume, ma con che cosa? Restai così nascosto per un paio d’ore. La barca non si poteva usare, era sorvegliata; ad un Km circa c’era un ponte sul fiume Reno, ma anche la caserma della Finanza e sicuramente il ponte era sorvegliato.
Feci un largo giro per avvicinarmi al fiume in un posto diverso e pensai di attraversarlo nuotando. Non sono mai stato un buon nuotatore, il tratto era largo circa 80 m. per me sarebbe stato molto difficile, ma non avendo alternative tentai ugualmente.
Mi levai gli stivali, il giubbino, la cartucciera ed il fucile e misi tuffo tra l’erba sulla sponda del fiume. Cominciai a nuotare a stile libero, una bracciata dopo l’altra ma quando fui circa a metà, le forze mi mancarono, avevo bevuto qualche boccata d’acqua, non riuscivo più a respirare nè ad avanzare. Guardai indietro, la riva era lontana, guardai avanti , non ce l’avrei mai fatta: pensai di mettermi a pancia in su, il morto lo sapevo fare, terrorizzato guardai il cielo per l’ultima volta e pensai che per me era finita.
Dopo qualche istante, sentii un fruscio nell’acqua, era Tosca che, non vedendomi arrivare era tornata indietro, mi venne vicino e mi leccò il viso quasi per incoraggiarmi.
Riuscii a prendere la sua coda, lei si mise a nuotare con forza e, pian piano, aiutandomi col braccio libero, riuscii a raggiungere l’altra sponda. Mi fermai per qualche decina di minuti con Tosca tra le braccia, accarezzandola, baciandola, con un gran pianto.
Andai a prendere la mia moto, mi recai da un amico conoscente che mi offrì ospitalità e mi vestì, mi riposai un paio d’ore e ripresi la via di casa. Raccontai tutto a mio padre; un bel rimprovero con una tirata d’orecchie mi disse: per un bel po’ di tempo non andrai a caccia. Eravamo nel 1954, avevo vent’anni.
Giulio Grossi
Concorrente al 18° Concorso Nazionale per Racconti di Caccia "Giugno del Cacciatore"