Io non sono mai stato un cacciatore. Però, nel periodo consentito, il sabato e la domenica Masi Simonetti veniva alle sei del mattino a bussare alla porta, dove ho abitato per due lunghissimi anni, per andare con lui a cacciare la beccaccia. Questo uccello, ascritto alla famiglia degli scolopacidi, è fornito di un lungo becco e di un piumaggio limitatamente vistoso, tale da consentirgli di mimetizzarsi quasi con il terreno del sottobosco della Vai Zoldana, la terra dei gelatai. Erano gli ormai lontani anni sessanta. Simonetti portava a spalle il suo schioppo e un piccolo zaino. Io avevo il compito di custodire in una cartella di finta pelle un album e tre matite, due delle quali colorate.
Come un esiguo numero di persone sa, Masi Simonetti è il pittore più importante del bellunese, dopo Tiziano. Parlava poco, pochissimo, e non solo a caccia. Per comunicare con me durante il periodo della uccellagione usava immagini di pennuti in volo, di piante sempreverdi e di un paesaggio meraviglioso qual è quello che si trova ai piede del Pelmo, un monte alto 3.168 metri. Simonetti è stato un cacciatore domenicale. Si riteneva uno di quelli che non ha mai mirato ad una fucilata virtuosa e ricercata, ma il suo scopo era solo di riuscire a portare a casa della carissima moglie Madeleine la prova della propria modesta abilità venatoria. Finalmente arrivò una mattinata durante la quale poté realizzare il suo sogno. Evviva! Perché io pensavo che fosse sempre alla caccia di qualche animale che non esistesse proprio, non avendo mai portato a casa neppure un passerotto.
La luna era da poco sparita; quella luna che ha il potere di far provare una sensazione di levità, di silenzio e di caldo incantesimo, come dice suppergiù Italo Calvino. Nel giro di quaranta minuti Simonetti ha tirato tre fucilate, facendo tre morti. Io non l’avevo mai visto correre in quel modo. Sembrava impazzito dalla gioia di andar a prendere su la prima, la seconda e la terza beccaccia.
Mise il fucile per terra, con una calma inaspettata. Si prese la cartella che tenevo sotto il braccio sinistro e cominciò a disegnare tre uccelli in tre fogli diversi. Uno che volava malinconicamente, il secondo mentre cadeva insanguinato, il terzo sotto le foglie di un lance; di quella pianta che diventa pregiatissima per tinta, per compattezza di fibra e per rigogliosità di vegetazione. In quell’istante a me parve sentir discorrere qualcuno. Era l’acqua di un ruscello che correva e parlava sommessamente alle pietre, alle erbe, alle piante e ai fiori la storia delle nevi e dei ghiacciai da dove scaturisce, fra i misteri delle cime e le furie dei venti. Forse sono andato un po’ fuori tema.
Ma nessuno ha saputo, prima d’ora, il perché i tre disegni fatti da Simonetti quella mattina di caccia siano da allora appesi alle pareti delle varie case dove ho abitato, in seguito ai miei vari trasferimenti.
Emilio Pasetto
Concorrente al 18° Concorso Nazionale per Racconti di Caccia "Giugno del Cacciatore"