Il cielo si faceva azzurrino, l'ombra nera si muoveva, la si distingueva. Si poteva puntare e fare fuoco. Uscivo subito a cercare tra l'erba sotto l'albero. Ero un bambino, ero curioso. Mi sgomentava e mi attraeva insieme, cogliere quel trapasso vitale. Quel corpicino caldo mi faceva tenerezza e pena insieme. Per me, quella era una cosa grande, il momento più atteso della settimana. Stringevo la preda tra le mani e la portavo orgoglioso a mio padre, come se il merito fosse mio. Di me che l'avevo trovata piuttosto che di lui che l'aveva centrata da lontano.
Poi aspettavo con impazienza che arrivasse l'ora della colazione: pane e formaggio o pane e salame. Un rituale magico, che è rimasto così, fissato nel tempo per sempre, e vale ancora oggi. Fare colazione in questo modo, a caccia, la mattina presto, con persone care. Gustare quei sapori, quegli odori, provare certi pensieri. E' uno dei massimi piaceri della vita. Ricordo che mio padre beveva vino e ne dava un goccio anche a me, annacquato. Io mangiavo, e masticando il boccone tornavo a contare per la centesima volta il numero delle prede nel carniere: erano abbastanza per non sfigurare, al ritorno a casa.
Quando cominciavo ad avere sonno, finita la mattina, mio padre lasciava che mi addormentassi, poi mi sdraiava su una panca e mi copriva con una coperta. Gli spari avevano l'effetto di farmi sollevare un occhio: mi svegliavo appena, e subito ripiombavo nel sonno. Per me era tutto. Stare contemporaneamente con mio padre e con la natura, vedere sorgere un nuovo sole. Difficilmente andavamo due volte nello stesso posto. Cambiavamo a seconda dei permessi. Vedevamo posti nuovi, cose nuove, ogni volta era uno spettacolo.
Roberto Baggio
Tratto da Una porta nel cielo (Limina Edizioni)