A fine agosto, vento il maestrale, sentii il chiurlo piccolo nel cielo. Risposi col fischio. A trillo semplice e prolungato il chiurlo girò di scatto, fermando le ali e, credendomi suo fratello, accorse veloce. Si fermò alto, sul mio zenit. Girava il capino a volermi guardare. Ma non ero suo fratello, bensì il cacciatore dalle nuove speranze.
E mia figlia mi invitò ad insistere: le piaceva il trillo breve e veloce che evocava ritmi perduti nella natura. E fischiai ancora con l'osso dei miei padri. E lui, signore del cielo, accorse più volte.
Alcuni giovani bagnanti mi chiesero spiegazione dell'evento. Erano interessati alla conoscenza di quell'uccello, al suo verso; e dissi loro che si trattava del chiurlo piccolo, specie protetta, una volta oggetto di caccia. E raccontai un po' della mia storia della caccia d'un tempo. Ascoltarono con i volti assenti. Nei loro occhi c'erano ancora le immagini dei balli della notte alle discoteche. E se al mio racconto s'interessarono, mi dissero che non amavano la caccia perchè non faceva parte della loro cultura. Amavano la vita libera e oziosa da studenti fuori corso.
E il chiurlo, come ad un appuntamento segreto e clandestino, ritornò. Anch'io tornai al fischio, e loro, i giovani, entusiasti, zittirono, si accovacciarono. Mi promisero solo che, al referendum, non avrebbero votato contro la caccia perchè intuivano i valori reconditi, come pure il fascino di vivere a contatto con la natura.
Andarono via salutandomi con rispetto, come fece anche il chiurlo. E rimasi con la mia famiglia, ancora un po' sulla spiaggia, meditabondo. Intanto il sole calava nel mare fattosi calmo e dolce. Percepii il grido acuto del gabbiano a rammentarmi che l'indomani, primo settembre, si apriva la caccia a quaglie e tortore.
Lanciai l'ultimo saluto al chiurlo. Un saluto di speranza, al giorno che tramontava.
Domenico Gadaleta