Nessuno conosce l'arrivo del migratore. Ci si affida alla luna, al vento, al sole, alle stelle. Ma le disillusioni si susseguono fino a quando un bel giorno sogni e realtà si identificano. E quella pennellata di nuvola rosa che appare da levante porta con sé non solo la speranza della bellezza stessa del vivere e dell'essere cacciatore, ma il migratore stesso, e non uno, ma tanti.
Non chiamiamolo per nome il nostro cacciatore, perchè è lo spirito fattosi passione che dà corpo e anima all'uomo che sembra vivere fuori del tempo, perchè gli uomini del suo tempo non sono con lui, non accettano i suoi sacrifici. Ma il cacciatore è sempre lì a spiare il cielo che porterà il migratore. La lamentosa tortora è già in Africa a tubare all'ombra della grande sfinge. La quaglia è già partita, solo qualcuna tarderà. E il bottaccio è già sul ramo più alto della quercia, a zirlare. Ci siamo. La vita e la caccia continuano. Il migratore c'è.
Arrivederci fra qualche giorno col chioccolo. Quando i tordi sono tanti, i fischi s'intrecciano, si confondono e rallegrano l'anima. Giornata di passo. Sacra per il cacciatore, non importa se si sbaglia qualche colpo. L'errore è una componente della condizione umana. Se tutto fosse facile, essere cacciatore non avrebbe senso, perchè è lui, proprio lui che vive la contraddizione dell'esistenza allo stato puro, senza infingimenti. Vive la sua verità che è fatta di speranze e di domani.
Allora, quando arriveranno i tordi? La domanda è retorica perchè non gli interessa più, perchè è sicuro che arriveranno, perchè i primi sono già nelle sue terre, nei suoi amati boschi fra i rami delle conosciute querce. E si riporta fra le labbra l'antico chioccolo, quello dei suoi padri, che non imiterà mai alla perfezione il canto del tordo, ma gli servirà per nutrire la speranza di un ritorno credulo sul ramo della grande quercia che ancora resiste all'ingiuria del tempo, che ha visto generazioni di cacciatori e di tordi. E così corrono i giorni di ottobre e i migratori si avvicendano per sostare e ripartire. Poi a novembre si farà vivo qualche sassello, più credulo al richiamo, più piccolo, ma più grazioso del bottaccio, con quelle sfumature vinate che ricordano i freddi dell'autunno e l'incedere inesorabile del tempo verso l'inverno.
Anche la neve non fa paura al sassello che ha preso il posto del bottaccio, spostatosi più a sud, a godere delle giornate solatie fra gli ulivi. Ma lui, il sassello, aspetta la sua amica cesena. Con questa scambierà qualche vezzo, qualche verso, prima di ripartire verso le terre dell'amore. E il cacciatore è lì a gioire e sperare.
Anche la partenza del migratore è misteriosa. Un bel giorno di sasselli e cesene ne vedi tanti, poi il giorno dopo, forse proprio quello che avevi scelto per la caccia, non ce ne sono più. Scomparsi! Eppure il bottaccio resiste ancora, forse fino a marzo. E' testardo, vagabondo, vorace. Assedia gli ulivi, incamera risorse per il lungo viaggio. Addio tordi! Ma ci rivedremo, se ci sarà vita, al prossimo autunno. E ce ne vorrà del tempo. Ma non importa! La vita e la speranza si intrecciano e convivono. Guai se così non fosse. E' questa l'eternità per il cacciatore: vivere dentro e sempre i sogni del suo tempo, della sua vita.
Domenico Gadaleta