Arrevoou, pristilaaa, cessa ‘draaa …
evocati richiami echeggiano ancora.
Le mandrie, disertavano i polverosi stazzi dei litorali
abbandonando l’erba avvizzita dei maggesi.
Noiose mosche, divenivano bersagli mobili
per le code vaccine.
Mulattiere irte pregne di rovi per e verso le conifere
dall’aria profumata di resinosi pini.
Mandrie di podoliche brade inseguivano la primavera,
nella fragranza dei giovani pascoli delle radure montane.
Garzoni e vaccari in cammino con l’accetta poggiata sul braccio,
un bastone, una bisaccia col pane e formaggio,
sugli scarponi intacciati e ripuliti la sera prima col grasso.
Il caporale, in sella con la doppietta sulle cosce a cavallo,
cinturone sfibbiato, stivaletto di cuoio e staffilo.
Avanti a tutti, come un solista in preda all’estro,
la Jenca bizzarra bardata con la campana di strippa.
L’enorme calotta col battaglio rovente
segnava di notte e di giorno l’allegro cammino.
Sul sentiero alberato, tigli, querciole e castagne,
masse di carne e di corna all’irto ansimando.
Il vaccaro accaldato sotto la fresca paglietta avanzava,
in una grezza camicia annodata sull’ombelico villoso,
in un soave concerto di sole campane.
Ero un bambino ,assistevo all’evento ancestrale,
dell’uomo e dell’animale che in simbiosi migrava,
verso una terra fresca di mote e di laghi,
tra giunchi, felci, acqua sgorgante dai massi tra i pini silvestri.
Serafino, con due dita in bocca e a tutto fiato,
tra l’interstizio dei denti fischiava.
I cani incrociati e allampanati facevano festa abbaiando,
contenti del luogo e delle future avventure randagie.
Nel fiato del branco tra gli escrementi,
il lezzo profumo animale.
Avevo corti calzoni, al collo una fionda e,
dietro i mandriani mi sentivo eccitato, rapito da un evento che,
dalle arse marine orma su orma aveva segnato nel corso del tempo
il sentiero della transumanza silana.
Umberto Clausi