Primo settembre: apertura della caccia. A quaglie, tortore, marzaiole e combattenti. Le quaglie sorvolano i cieli senza più sostare, le tortore sono fuggite sotto la spinta dei temporali agostani, le marzaiole... chissà! E i combattenti?
Qualcuno s'era visto lungo le rive del lago. Sfogliò la vecchia enciclopedia anni sessanta e lesse: combattente, ovvero gambetta e gambettone. Rammentò che tale selvatico lo aveva interessato nei primi anni della caccia, soprattutto nei passi marzolini. Uccelli di S. Giuseppe, gli aveva sussurrato qualcuno.
Nella didascalia, si leggeva: è meno abbondante nel ripasso settembrino. Fu preso da un velo d'ottimismo e tirò fuori, dal taschino della cacciatora, un fischio d'osso con il quale si richiamavano le gambette. L'amico suggerì di ritornare alla caccia, perché sarebbe stato un ritorno alla speranza, alla vita, all'intuizione primitiva della natura. Si preparò all'apertura. Sarebbe bastato qualche stampo, un capanno di canne e un chiò – chiò ripetuto di tanto in tanto. Destinazione: Serra del Corvo, lago artificiale dove, nei mesi estivi, si raccoglievano varie specie di anatre e trampolieri, prima della partenza verso le terre di svernamento. E fra i trampolieri s'erano visti vari combattenti. La conoscenza degli uccelli lo metteva al sicuro da qualsiasi confusione e spiacevole incidente con i guardiacaccia. Fratini, gambecchi, piovanelli, pettegole, pantane, ecc. Ma era solo il combattente da individuare e cacciare. Così i due erano presenti all'apertura. Alba del primo settembre. Cielo, acque e terre, tranquilli alla luce di un sole nascente. La superficie del lago appariva piatta, immobile: solo qualche carpa guizzava. E subito, come in un rito perenne, si percepì il chiò – chiò della pantana. I due amici sgomitarono: uccelli compresi nel divieto della nuova legge! Nell'aria mattutina si levò alto il chiò – chiò del fischiatore, alternato al chiorò delle pettegole. I combattenti lo avvertirono volando decisi verso l'appostamento. Il muto splendore aurorale fu rotto dagli spari che segnarono l'apertura della caccia. Poi si intravide un altro stuolo di gambette, incredule al richiamo. Lontano fra le stoppie si percepì qualche colpo a quaglie, e poi di nuovo la quiete, col sole già sorto.
Uno svasso apparve dal nulla, a pavoneggiarsi e a tuffarsi. Possenti aironi cinerini si levarono lenti, per adagiarsi più in là, sospettosi e guardinghi. Esigevano rispetto. Guai a sparargli. Avrebbero compromesso per sempre il destino del cacciatore. Ed è giusto così.Bisogna solo ammirarli questi signori del cielo. Si rividero piovanelli, gambecchi, fratini, pantane e pettegole. Gli uccelli erano fermi sulla ripa, mentre qualche anatra si godeva la quiete delle acque. Giunse anche l'uomo con il gregge che attorniò il capanno.
Un pastore albanese, nuova genia di poveri. Il dialogo fu difficile per l'incomprensione del linguaggio. Ci si scambiò qualche sorriso. Poi si percepì nuovamente il fischio della pantana, una sola, con dietro di sé lo stuolo delle gambette. I due fischiarono e quelle, ad ali arcuate, planarono fra gli stampi. Erano ferme, immobili. Bisognava tirare all'unisono. E il precipizio del fuoco fu tale che ne caddero quattro. Erano loro, le gambette, le specie permesse e promesse: becchi dritti e neri, zampe giallognole, petto bianco con un po' di sporco grigio. Due gambettoni e quattro gambette. Viva la caccia!
Domenico Gadaleta