Era una sinfonia che sentiva da sempre, e della quale non era mai stanco: suo padre a tavola la sera, che raccontava per telefono al fratello lontano le astuzie della regina. Astuzie delle quali era stato vittima insieme al suo cane Argo, un setter bianco arancio che ormai era uno di famiglia, ribattezzato da tutti “faccia sporca” per via di quattro macchie grigio fumo stampate sul viso, che ricordavano delle macchie di olio per motori.
- E' pronta la cena di Argo? - chiedeva sempre l’uomo alla moglie. Perché prima doveva mangiare il cane, poi tutto il resto della banda.
Stefano, ancora dodicenne, fremeva. Era già uscito qualche volta col padre di domenica, ma non era soddisfatto. I tordi e le cesene non facevano per lui. Quell’immagine statica creata da un appostamento improvvisato non gli bastava.
Lui non voleva limitarsi ad ascoltare il racconto della domenica, lui voleva esserne parte.
Stefano la beccaccia l’aveva vista sempre e solo alla sera,quando rientrava il padre dalla caccia, e soprattutto quando il padre era riuscito a catturarne qualcuna. E la sua non era semplice curiosità. La fata lo aveva ammaliato.
- Ma c’è la scuola prima della caccia- diceva mamma Maria. E forse aveva ragione, o forse no.
Perché anche la caccia insegna, Dio solo sa quanto!
Perché la vita non si spiega sui banchi di scuola, perché a volte, stare chini ore ed ore sulla propria scrivania serve a ben poco.
Lla vera conoscenza rifugge i testi e risiede solo nell’animo umano” l’aveva sentita spesso questa frase,e Stefano conosceva il suo animo. Era quello di un cacciatore, perché cosi era nato. Cacciatori non si diventa…si nasce.
Quell’anno aveva piovuto molto,i cercatori di funghi erano contenti. Ma Stefano lo era ancora di più. Suo nonno ( cacciatore anch’egli) ripeteva sempre- anno fungaio,anno beccacciaio.-
E chissà…forse era l’anno buono.
Forse era l’anno in cui sarebbe riuscito a vedere la beccaccia in volo,forse era l’anno in cui sarebbe riuscito a sentire il frullo in mezzo al bosco.
Faceva freddo quella mattina. Fuori era ancora buio. Ma Stefano era già sveglio.
Era stato svegliato dall’acciottolante suono delle tazzine del caffè,dalla frenesia di Argo che continuava a correre per casa. Dal leggero aprirsi della porta della sua stanza.
- Sei sveglio?- disse il padre-
- Si- rispose il bambino che era già fuori le coperte, e i suoi occhi emanavano luce.
- ti va di venire a vedere se alziamo qualche beccaccia?-
Il sogno si era avverato.
La chiamavano “la macchia della regina”, sarebbero andati li. In quel posto che Stefano aveva sentito solo nei racconti del padre, in quel posto che a detta dei cacciatori richiamava scenari degni di un film della Disney.
E in effetti cosi era: quel posto era la prova inconfutabile della Gloria di Dio. Lo sterminato faggeto, i rovi ed il piccolo torrente che scorreva ridente e silenzioso.
Argo correva come se li ci fosse nato,frugando in ogni anfratto,e mentre correva,maestoso,di colpo si fermò; la schiena curva,il tartufo sollevato…d’un tratto si era trasformato in una perfetta scultura.
Quell’attimo sembrava eterno. Stefano capì il cenno del padre,e si fermò dietro di lui.
Poi, quando gli occhi del cacciatore si incrociarono con quelli del cane, la beccaccia partì.
Dal mezzo di un cespuglio si sollevò maestosa, e con la stessa maestosità proseguì il suo volo, nonostante i due colpi partiti dalla doppietta.
Di nuovo un incrocio di sguardi,quelli tra il bambino e l’uomo,quelli tra il cane e la beccaccia,quelli tra la beccaccia e il cacciatore,quelli tra il bambino e la beccaccia.
Il sogno come per incanto si era materializzato e spalancava nuove porte. La natura ancora una volta era stata maestra.
La beccaccia volò lungo il suo faggeto,ma lasciò li la sua magia.
L’uomo ricaricò il fucile, e i tre ricominciarono a cacciare. Nessuna parola interrupe la melodia magica che la natura aveva creato.
E mentre la nebbia leggera,iniziava a diradarsi,quell’alone di mistero che regnava sulla macchia si arricchiva di nuove storie. Storie che sarebbero state raccontate per telefono,o più semplicemente,storie che avrebbero fatto crescere in maniera esponenziale dentro Stefano la sua passione per la caccia. Passione dalla quale avrebbe tratto quotidianamente lo spunto per trame sempre nuove che accompagnano da tempo immemorabile l’animo del cacciatore.
Vincenzo Mazzone