Sotto la luna piena come da un corno arcano,
un ululato echeggiava tra le montagne
per richiamare all’adunata il branco.
Col tempo cupo rimbombanti i tuoni,
facevano vibrare i vetri delle imposte mentre
i lampi in incursione atterrivano i bambini
intenti ad ascoltare un’antica favola al camino.
Un tempo venerato come un Dio,
temuto come un orribile demonio
al solo udire del suo ferino nome.
Il Re silvano,
cercava la sua fama spargendo tra gli ovili,
il sangue degli armenti.
Nero, sfumato, grigio cinerino,
iride gialla, pupilla obliqua e dente aguzzino,
l’archetipo della malvagità, mito indiscusso del terrore.
Non risuonano più tra balze cupe,
macigni e selci di secolari boschi gli ululati,
tra l’acqua trasudata dalle budella dell’ignoto.
Non vantano più i lupari,
spoglie insanguinate da barattare
con benedizioni e doni.
Di te, caro lupo rimane l’epico racconto,
di me la nostalgia della poesia,
strappati entrambi al grembo della madre selva e
condannati come cacciatori,
in parchi e riserve innaturali
ad una lenta e vile agonia.
Umberto Clausi