La vicenda dei beagle di Montichiari è ormai trattata quotidianamente da giornali e tv, che molto spesso, nonostante l'illegalità dell'atto di liberazione dei cani, è schierata in un'opera di mitizzazione degli animalisti. Ma l’esposizione mediatica del tema Green Hill secondo il movimento politico CRCA non è causale. "Siamo alle battute finali - spiega una nota del movimento - del recepimento da parte del Parlamento italiano, all’interno della cosidetta legge comunitaria 2011, della direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici".
La direttiva europea è il punto di arrivo di un lungo e complesso lavoro di mediazione iniziato nel 2003 e conclusosi con l’approvazione del nuovo testo nell’ottobre 2010 grazie all’impegno e alla partecipazione di tutti gli Stati membri dell’Unione, di esperti di numerose società scientifiche e dei rappresentanti delle principali associazioni protezionistiche europee, che ha recepito sia le giuste istanze delle Associazioni per la tutela del benessere degli animali sia le esigenze della sviluppo della ricerca biomedica. Il risultato di questo lungo lavoro è ora messo a rischio nel nostro paese dall’art.14 del disegno di legge già approvato dalla Camera e ora al vaglio del Senato, nella formulazione fortemente voluta dall’ex ministro Vittoria Michela Brambilla che di questa crociata povera di cultura e quel che è più grave di verità, è il leader.
Il Crca chiede che il dibattito parlamentare avvenga su presupposti scientifici e non sulla base dell’emotività o su considerazione ideologiche, chiede che il Parlamento possa legiferare senza intidimidazioni e senza campagne di umanizzazione degli animali che ergono a proprie bandiere teneri beagle dimenticando peraltro tutte le altre cavie da laboratorio solo perchè non funzionali all’opera di persuasione dell’opinione pubblica.
"Ma cosa succederebbe se si decidesse di fare a meno negli esperimenti degli animali?" si chiede il movimento. La risposta l'hanno data l'associazione Italiana scienze degli animali da laboratorio (AISAL, la Società Italiana Veterinari Animali da Laboratorio e l’Associazione nazionale Medici veterinari le quali hanno fanno sapere che l’approvazione in via definitiva dell’art.14 comporterebbe da un lato una penalizzazione della ricerca scientifica biomedica italiana rispetto a quella degli altri Paesi, una delocalizzazione delle attività di ricerca, pubblica e privata, a danno dell’Italia con lo spostamento all’estero di attività produttive e dall’altro lato “rischia di determinare delle conseguenze per la salute umana, che nessuno è in grado di stimare, e per questo inaccettabile”. Conclude il documento rimesso dalle due associazioni dei veterinari al Presidente della Repubblica che “come cittadini e come medici veterinari riteniamo che i principi costituzionali della tutela della salute umana e della libertà della ricerca scientifica ad oggi non possono ancora essere realizzati senza l’utilizzo di animali”, facendo poi riferimento all’impossibilità di poter proseguire “nella conoscenza delle malattie che ancora affliggono gli animali e i cittadini di questo paese e nello sviluppo di nuove terapie nelle quali i pazienti e le loro famiglie ripongono la speranza per il loro futuro”.
Da notare, in via secondaria, che l’attuale formulazione dell’art.14 presenta effetti distorsivi dell’intento del Legislatore europeo, sollecitando misure superiori allo stesso livello regolatorio della Commissione europea. Ci pare qui opportuno ricordare come gli animali di laboratorio ci abbiano salvato vita in innumerevoli occasioni. A cominciare dal vaccino antipolio di Albert Sabin (1955) che ha appunto permesso di sconfiggere la poliomielite che in Europa dal 1951 al 1955 ha lasciato paralizzati oltre 140 mila bambini. La messa a punto del vaccino richiese il sacrificio di quasi diecimila scimmie; dalla trabectedina (2009)farmaco sviluppato al Mario Negri di Milano insieme all’Istituto dei tumori e a quello europeo di oncologia che in certi casi può aumentare del 30 per cento la sopravvivenza di pazienti con tumore all’ovaio, malattia che in Italia colpisce qualcosa come 5 mila donne all’anno e in Europa ne muiono 500 al giorno. Per sperimentare la trabecteina sono stati utilizzati 1500 topi. Se oggi l’AIDS si è trasformato da condanna a malattia cronica lo si deve ai farmaci testati sulle scimmie.
“E’ inutile illudersi che i test su cellule in vitro o simulazioni al computer possano sostituire i modelli animali. Se decidessimo di farne a meno dovremmo rassegnarci a tempi di sperimentazione immensamente più lunghi e a introdurre sul mercato farmaci meno sicuri, senza aver alcuna idea su dosaggi ed effetti collaterali” avverte Roberto Furlan, neuro immunologo al San Raffaele di Milano. Se si considera che per mettere a punto un farmaco occorrono in media 10 anni, anche solo raddoppiare i tempi f una differenza inaccettabile. (da Panorama del 16 maggio 2012).
Siamo dunque sicuri di rinunciare alla ricerca e alla utilizzazione di modelli animali? Siamo sicuri di poter dire ad un padre che il suo figlio malato dovrà attendere vent’anni prima di poter assumere un farmaco che potrebbe guarirlo, sol perché qualche proibizionista ha impedito la sperimentazione? Siamo sicuri di poter dire ad una madre che il suo bimbo è condannato perché non si è voluto sacrificare un beagle per la ricerca?
Il Crca ritine di no e si associa all’appello rivolto al Parlamento e al Presidente della Repubblica da ANMVI, SIVAL, AIFA , AISAL affinchè si eviti una paralisi della ricerca medica alla quale tutti noi ci appelliamo ogni qualvolta noi stessi o un nostro caro necessita di cure e si legiferi evitando per il bene innanzitutto dell’uomo posizioni demagogiche e deleterie per la medicina che ad oggi non può prescindere dalla sperimentazione animale.
(Ufficio Stampa Civilità Rurale Caccia Agricoltura Ambiente)